In fieri - La Pagina Bianca
Dove finisce la poesia non consumata,
il verso non trattenuto –irrespirato cielo– la parola non compresa, l’incauta scritta in gromme di cemento; cosa rimane della poesia derisa, scostata, della poesia invenduta e le sue dune, dello scurato pregio nelle vene di pennate, nelle lamine di retinervie, di tutta questa poesia offerta in pasto alla sostanza indocile, ad aride lagnanze. Ne resta il disunito lembo di acrostici slogati in incompite cale, la digrumata stele, la spocchia decadente nel cincischìo di epigoni, nei baci di fiele disseminati sulle pagine di polvere di Poeti Scapigliati. Come chiama il poeta il profumo e la sua rosa, il tedio di giunchi assolati nei lobi di rotonde, le fulve chele di una perduta stella? Inizia in rime sciolte il pamphlet sur la revanche, la luna non è lontana ora che si discosta la marea sizigiale dai ceppi atterrati, e la notte è una stanza di carta. Stornai nientificati equivoci di voci nel diacronico deflesso che s’annida fra i pronomi, ti dimenticai nei respiri di malmostose alghe, in bisillabe disciolte nella mano dello scriba; non fu chiarore di strade il verdito mento, il tizzo rosso della chiosa. La festuglia del Fosco disarma la grafia,
per poco s’intuiva la sottile allegoria,
si stranisce l’òmero nel colore delle gote, ricade sul davanzale il tempo e la sua storia. Cosa rimarrà del verseggiato campo,
del vùlture a perlustrare il giorno che rinasce alla poesia?
Thea Matera ©