Andrea Ravazzini

Di rovi d’argento e di ferite socchiuse cosparso

Terso
urlo solo,
sommerso
dal vento,
irto su braci
silenti
di un cupo
gorgo
del tempo,
lieve dimora
nel tuffo finale
del candore
meriggio
per farsi
fitto scorcio
di luce
morente,
posata ai fianchi
di una triste sera,
che ancor desta
sul letto del mare
—stretta nella morsa
del famelico buio–
ancor di pace
lo sguardo
non riposa.
 
Scroscia il fervore
dalle labbra
di notte,
lieve scava
nel cuore
di terra
una lacrima
amara,
gemma
in fiore
sbocciata
tra le fiamme
in cui crepitano
i rami corrosi
del mio canuto
silenzio.
 
Sfuma
il calore
di un mio
lontano rimpianto,
preso dalla stretta
morsa del gelo
di un’ ora ferma
sulle sue radici
incolte.
 
Un respiro,
il sibilo
di questo
angusto mondo,
che china il capo
tra i petali appassiti
di una tempesta,
che il furore disperso
nel fondo del petto
ha lasciato,
di rovi d’argento
e di ferite socchiuse
cosparso.

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