Esiste un muto greto
dove la notte scompare
nel polverìo di un alambicco,
dove il campo di papaveri
disasconde la verbena,
in un tunnel di acanti blu cobalto
dimergola al limine
di guglie il luminarsi
di avite sale,
atticciate mute di cani si rincorrono
lungo ossuti cinti silvestri,
coccole di nervati curri.
Mi persuade il brillìo della gazania,
il serraglio dell’ipomea,
lo strale di aguzzi steli
come i tuoi gesti,
disegni sopra i vetri
di vasi azzurri d’acqua
un roseo cielo di conchiglia,
sfiori la parola e l’allontani...
ne mostri di schiena il filo
di frutti chiari, devoti volti,
il drappo di parole
imprestate alla ragione
l’inconosciuta soglia
della rima non ancora scritta.
Si rassomigliano fra loro,
ossimori, i parallelepipedi,
si sbiancano verdi pilastri d’ostriche;
la stevia si rigira nel soffio della calura,
s’attrista nella cuòra
il piorno ventre di ovati bozzoli,
ermo grigio di acuti lobi.
Si fende l’arco del giunco
che dorme all’orizzonte,
raggiorna tra le pagine di malacopie,
di sonnolenti, smesse vertèbre
di gargolle nello sfiato di filicorni,
sorgivi bronzi di rosignoli
fra dibarbate polle.
Thea Matera ©