Ludovico Ariosto

Sonetto lV

Lasso, i miei giorni lieti e le tranquille
Notti che i sonni già mi fêr soavi,
Quando nè amor nè sorte m’eran gravi,
Nè mi cadean dagli occhi ardenti stille;
 
    Come, perch’io2 continuo, dalle squille
All’alba, il seno lagrimando lavi,
Son vôlti3 affatto: onde il cuor par s’aggravi
Del suo vivo calor, che più sfaville.
 
    O folle cupidigia, o non al merto
Pregiata libertà,4 senza di cui
L’oro e la vita ha ogni suo pregio incerto;
 
    Come beato e miser fate altrui,
E l’un dell’altro è morte e occaso certo,
Or che piangendo penso a quel ch’io fui!
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