Ludovico Ariosto

Elegie 1

Quel fervente desío, quel vero ardore
Che diè principio e mezzo a’ desir miei,
Darà ancor fine a’ miei stenti e sudore.
Nè curo i sospir più, nè tanti omei,
Nè le minacce, teme, ire e paura,
L’abisso, il mondo, il ciel, uomini e dei;
    Che una fondata rôcca, alta e sicura,
Mi guarda il regno mio, detta costanza,
Che ferro e fôco e martellar non cura.
I fondamenti ove si posa e stanza,
Son di stabilità viva fermezza;
La calce e pietre son perseveranza;
L’inespugnabil mur viva fortezza,
Le sue difese, scudi e bastïoni,
Son fè ch’ogni timor fugge e disprezza.
Regge speranza il mastro torrïone
Sotto due guardie; una, fedel, chiamata
Prudenza; e l’altra, svegliata, ragione.
 Castellano è un amor fermo e provato,
Che scorge il tutto; i sergenti son poi
Solleciti pensier, ciascun fidato.
 L’artigliería, i sassi e i dardi suoi
È audacia, i parlar pronti e acuti sguardi
Come dicesse:—Accóstati, se puoi.—
    Son cocenti desir quel fuoco che ardi:
La polvere rimbomba in tuon di lutto,
E di sospir pungenti più che dardi.
    Provido antiveder, sagace, instrutto,
Son poi la munizion che d’ora in ora
Veglia, e non lascia ai nemici trar frutto.
    Gl’inimici, lo assedio ch’è di fuora,
Son gelosía, timore, odio, disdegno,
Disprezzo, crudeltà, lunga dimora.
    Ma tutte le lor forze e lor disegno
È in tagliar d’acqua e in batter d’adamante,
Che troppo è il castellan provvido e degno.
Dunque, con quel pensier fermo e costante
Che incominciai la mia amorosa guerra,
Con quel seguiterò la impresa innante;
Chè una rôcca di fè mai non si atterra.

Note
Questo e i due componimenti che seguono furono ristampati dal Barotti a maniera di appendice, traendoli dall’edizione delle opere ariostesche fatta da Stefano Orlandini. Derivano i due primi da un antico libercolo, intitolato Forza d’Amore, ed impresso nel 1537 ad istanza di un Ippolito Ferrarese, a cui l’erudito che sopra dicemmo non si astiene dal dare i titoli di buffone e di impostore; confessando altresì di aver più volte avuto in pensiero di cancellarli tutti e tre dalla sua raccolta. Il Molini che li aveva riprodotti nella sua edizione del 1822, li omise in quella, da noi più spesso consultata, del 1824.

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