Voltati, la stella che ammiravi un tempo non porta più il tuo nome. Il tuo odio l’ha oscurata, l’ingratitudine
Non fermarti o morte, c’è posto per entrambi, sul sentiero, tra gli alberi. Li, io
Siamo polli, galline in batteria, uova negate, mai nati. Quando negato
Ingegnere, Idraulico, Mercante. Soffri d’amor, Ne ebbe
All’ombra dei canneti una libellula si è scorta, si è fatta audace; da una ninfea ha raccolto la rugiada,
Lo senti, è il canto dei campanili, delle mie incertezze, onda, dei tuoi sospiri. È il fuggir grave,
Se lo cercherai, lo troverai ai bordi delle strade o su di un gozzo acceso, mente nei suoi balocchi,
Se così io mi rivelassi, tanto fragile da non piacere più ad alcuno e mi accorgessi
Fugge la corte il passero inquieto, il suo canto dolente, gli dei han posto il veto. Agita le zampette
Il sole attende, tra nuvole di sabbia e sale, l’estate gravida di questo mare.
Non ci saranno prediche, Né più sermoni, Su ciò che ha afflitto Noi, Uomini nuovi.
I matti stelle cadenti sulla riva, sul bordo tutto in salita della normalità.
Cupido! Un dardo ancora, unico, solo, per confonder la bestia
Fugge il sogno, nell’incoscienza di un’utopia. Nel sangue distopico
Difficile descrivere le briciole di un pettirosso, la sua tua grazia, l’oggi, il volo.