Ultimamente ho voglia di andare in Chiesa.
In quel luogo d’arte, di freddo, della sofferenza che sboccia e della morte che spera.
Da piccola venivo costretta ad andare a sentire la Messa senza mia madre e mio padre, e quei racconti, nonostante la voglia di tornarmene a dormire, mi pizzicavano i piedi e le ginocchia, mi rilassavano e ammaliavano e nonostante già vedessi la religiosità solo da un punto di vista teologico e sociale, quasi Dio in quel momento diveniva una presenza tangibile, il bambinetto tenero ma un po’ appiccicoso che senza il tuo volere ti seguiva ovunque andassi.
Una volta mia madre mi mandò in Chiesa la domenica mattina nonostante avessi una tosse insopportabile, non riuscivo a smettere di tossire e più tossivo e più mi vergognavo. Ad un certo punto una signora anziana si girò e mi diede una caramella Golia. Guardai la caramella e mi sentì mortificata perché sicuramente la mia tossa le avrà dato fastidio, ma poi la guardai negli occhi, e vidi la compassione e la gentilezza di una donna che amava. C’era più Dio in quella donna di quanto ce ne fosse nel prete che svogliatamente recitava i Sermoni.
Crebbi ma non troppo, e iniziarono le prime domande. Frequentai vari gruppi religiosi e disinteressatamente appurai quanto gli esseri umani cerchino in tutti i modi di far proprio un concetto la cui essenza è già intrinseca all’interno di ognuno di essi, ma non lo sanno. E persi fiducia nelle persone, nella storia, e in quel bambino: iniziai a correre via e non lo vidi più.
Più crescevo e più iniziai a formulare un mio pensiero sul cosmo, perché era l’unica cosa che mi dava un senso, guardai la materia e quella soltanto.
Oggi mi sento un individuo solo. Sento formiche camminarmi sul viso, di un fastidio che sento perennemente e che sentono anche gli altri. Ogni mio respiro sembra morirmi addosso e la mia aura è corrosa da ogni cicatrice che la società di cui non ho mai fatto parte mi cuce, scuce e ricuce addosso.
Fra questi volti e fra i muscoli e la carne che per tanto tempo ho studiato e che ho considerato unico oggetto di ogni fonte di male e bene, non mi vedo più io. Ovunque io guardi vedo solo cavità vuote, aure nere che avvolgono le strade. Tocco le mie ossa e sento lividi nella mia energia vitale che un tempo sembrava ardere.
Ho voglia di andare in Chiesa come da bambina e vorrei che una vecchietta mi dia una Golia nonostante io non abbia la tosse.
Ho bisogno di sentire Speranza, di vedere una luce che non riesco più a scorgere tra tutte queste iridi. Ho bisogno di un qualsiasi bambino che mi prenda la mano e mi porti per strada, perché le mie gambe non riescono più. È questa la disperazione umana che tanto ho studiato per anni? Sicuramente sì.