Ada Negri

Salvete

Penso agli atleti della vanga—ai forti
Che disfidando urlanti nembi e soli,
Strappano a l’arsa tormentata gleba
Misero un pane.
 
Penso agli atleti del piccone—ai macri
De la miniera poderosi atleti,
Ne l’ombra nera ed imprecata ansanti
Senza riposo.
 
.... Un sordo rombo ecco serpeggia—e crolla
Precipitando con fragor la vôlta,
E tutto è polve e cieco abisso e lunghi
Gemiti e morte....
 
Ma il sen squarciato del pietroso monte
Fende il vapor vittorioso, e passa;
E lo saluta al trionfato varco
Fulgido il sole.—
 
.... Penso agli atleti dell’idea, che, accesi
D’ansia febbril la generosa mente,
Martiri e duci, fra le turbe ignare
Tuonano a pugna:
 
Penso a chi veglia, s’affatica e muore
Disconosciuto.... e dal mio seno irrompe
Alto echeggiando su la terra un grido:
Forti, salvete!—
*
Salvete, o petti scamiciati e ferrei,
Ruvidi corpi e muscolose braccia
Infaticate nel clamor ruggente
De l’officine:
 
Salvete, o voi, cui del lavoro infiamma
Il santo orgoglio, e nel lavor morrete,
Voi, del pensier, del maglio e della scure
Strenui campioni.
 
A me dinanzi in visïon severa
Passan profili d’operaie smorte,
Passan le navi ruinanti a l’urto
De la procella;
 
E bimbi stanchi e incanutite fronti,
E mozzi corpi e sfigurati volti,
E tutta, tutta un’infinita, affranta,
Lurida plebe.
 
Sento da lungi un romorìo di voci.
Colpi di zappe, di martelli e d’aste:
Io, fra il tumulto che la terra avviva,
Libera canto;
 
Te canto, o sparsa, o dolorosa, o grande
Famiglia umana!... Va, combatti e spera,
Tenta, t’adopra e non posar giammai;
Breve è la vita.
 
Su le tenzoni del lavor; sul capo
Dei vincitori e l’agonie dei vinti,
Sguardo sereno ed immortal di Dio,
Sfolgora il Sole.

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