Ludovico Ariosto

Canzone lV

Quante fiate io miro
I ricchi doni e tanti
Che ’l ciel dispensa in voi sì largamente,
Altrettante io sospiro:
Non che ’l veder che innanti
A tutte l’altre donne ite ugualmente,
Mi percuota la mente
L’invidia;2 chè a ferire
In molto bassa parte,
Se la ragion si parte
Da un alto oggetto, mai non può venire;
E dall’umiltà mia
A vostra altezza è più ch’al ciel di via.
    Non è d’invidia affetto
Ch’a sospirar mi mena,
Ma sol d’una pietà c’ho di me stesso;
Però ch’aver mi aspetto
Della mia audacia pena,
D’aver in voi sì innanzi il mio côr messo.
Che, se l’esser concesso
Di tanti il minor dono
Far suol di chi ’l riceve
L’animo altier, che deve
Di voi far dunque, in cui tanti ne sono,
Che dall’Indo all’estreme
Cade tant’altri non ha il mondo insieme?
    L’aver voi conoscenza
Di Janti pregi vostri,
Che siate per amare unqua sì basso
Mi dà gran diffidenza:
E benchè mi si mostri
Di voi cortesía grande sempre, ahi lasso!
Non posso far ch’un passo
Voglia andar la speranza
Dietro al desir audace.
La misera si giace,
Ed odia e maledice l’arroganza
Di lui, che la via tiene
Molto più là che non se gli conviene.
    E questo ch’io tem’ora,
Non è ch’io non temessi
Prima che si perdesse in tutto il côre:
E qual difesa allora,
E quanto lunga, io fessi
Per non lasciarlo, è testimonio Amore!
Ma il debile vigore
Non potè contra l’alto
Sembiante, e le divine
Maniere, e senza fine
Virtù e bellezza, sostener l’assalto
Che ’l cor perdei, e seco
Perdei la speme di più averlo meco.
    Non saría già ragione,
Che per venire a pôrse
In vostre man, dovesse esservi a sdegno.
Se n’è stato cagione
Vostra beltà, che corse
Con troppo sforzo incontro al mio disegno;
Egli sa ben che degno
Parer non può l’abbiate,
Dopo lungo tormento,
In parte a far contento:
Nè questo cerca ancor, ma che pietate
Vi stringa almen di lui,
Ch’abbia a patir senza mercè per vui.
    Canzon, conchiudi in somma alla mia donna,
Ch’altro da lei non bramo,
Se non che a sdegno non le sia s’io l’amo.

Note
1-Avverte il Barotti che questa Canzone non trovasi ne’ manoscritti, e che taluni pensarono non esser cosa di messer Lodovico, perchè mancante dello spirito e della fantasia di che abbondano gli altri suoi componimenti.
2-Così suonano questi quattro versi nelle anteriori edizioni: ma sembra che, per sintassi più regolare e più chiara, dovrebbe leggersi: Non che al veder, ovvero: D’invidia.

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