Fosti tu, che intelligente all’arte snidasti i tre colori dai miei palmi. Mi bisbigliasti attese,
La tua sete trangugia, vorace, all… Hai attraversato sì nuda la neve assorbito già il freddo esistente. Hai guardato la solitudine come fosse una stanza
Di notte la mia eleganza si spinge tra le vezzose pieghe dell’aria. Ha una tale ferocia la mia bocca da farmi sollevare i calcagni liquidando la distanza
Era in effetti un panorama nero, sembrava bella quella falsa luce che faceva da pastello. Tu eri un ectoplasma e io un ramo ridente.
Quelle lassù erano bianche falene prima di essere ombre ostili. Fantasma dei miei castelli,
Nelle foto in bianco e nero sono raggi di ghiaccio i loro occhi insorti. Appese morte in piazza vittime d’imboscate,
Ti guardo che passi con passo sicuro ed esperto, mi spingi di lato in un punto bramoso del mondo a squagliarmi da sola
Ferma dovrei stare, adagiata nell’oscurità come un palo freddo, ma l’agrodolce delle more vortica sulla mia lingua
Grazie per le mosche che senza posa ronzano, sul mio sudario vibrandomi i nervi. E per le mie pupille,
Bacca di biancospino, lavata dal pianto della pioggia, dove sei nel vibrare di antenne? Sei caduta sulla terra brulla o sei diventata perla?
L’antica ferita del mondo vergata dal fuoco e dal freddo è anche la mia. Ogni capo chino è una freccia bendata
Sola come un papavero, nonostante i bocci intorno, dentro a un vento ostile che ti abbatte un colpo dopo l’altro,
Finendo sempre nello stesso modo il tempo è diventato rima, un giorno o un altro il corpo cantilena, supplica e trema.
Tutti parati dietro lo schermo nessuno si accorge delle trincee. Il podcast della vita distrae dalla fobìa della morte. Il soffio all’orecchio,
Dov’è che non sei quando posi la tua giubba silenzio… Nelle sillabe dei ritratti fatti di farina e terra che tacciono?