La tua sete trangugia, vorace, alla fonte.
Hai attraversato sì nuda la neve
assorbito già il freddo esistente.
Hai guardato la solitudine
come fosse una stanza
nell’alloggio dell’inquietudine,
hai sposato la mancanza,
soffiato sulla cenere con forza
e trasformato il ricordo in speranza.
Hai vinto e lo stupore sbianca.
Hai quella pace stanca
di chi ha lottato tanto
e si è ripreso tutto.
Io ti ritrovo intenta,
nell’irruzione dei rumori,
a mantenere accesi i fari
e i mostri sotto al letto.
Mezzo secolo e una stagione,
va tutto bene,
se lui pronuncia il tuo nome.