Ferma dovrei stare, adagiata nell’oscurità come un palo freddo, ma l’agrodolce delle more vortica sulla mia lingua
Quando tornai barcollando nel tuo abbraccio di mondo avevo lo scheletro stanco per l’archetipo viaggiare. Mi divorava bramosa,
Nel silenzio dell’inverno un legno si spezza. Volano via anche gli uccelli. Io resto ferma. Non è l’odore d’erba fresca
La notte è passata come passa sempre. Certe generosità di mani non servono più, non sono anzi servite.
Sono attimi quelli che ereggono il… mutante è la crosta con piccole ra… È l’età che sembra farci camminare… vagando su percorsi che si incroci… cercando appoggio nel rovente nucl…
Nelle foto in bianco e nero sono raggi di ghiaccio i loro occhi insorti. Appese morte in piazza vittime d’imboscate,
Nella piega accartocciata del non detto, il non so dirlo è polveriera di un silenzio-piombo. Nella forma embrionale
Aleggio invisibile, spettrale assassinata la schiena schizzata foglie gambe aperte bucce Affamata
L’antica ferita del mondo vergata dal fuoco e dal freddo è anche la mia. Ogni capo chino è una freccia bendata
Sola come un papavero, nonostante i bocci intorno, dentro a un vento ostile che ti abbatte un colpo dopo l’altro,
Ho trovato il calore dei visceri, nell’estremo candore della paura al suo atto. Ho trattenuto
Nella piazza solenne a Torino silente un angelo dimora. La sua virtù esplora l’arte del destino: il bene e il male diventano uno.
Cade una foglia, cade una piuma dalle esili ossa del bosco, a dispari passi una lupa si avvia verso il fiato pesante del branco. Non c’è un suono né un soffio
Ogni tanto mi sperdo e mi sotterra il tremore e odoro di polvere, di carne e di fontane, mi assento nei silenzi
Ho smontato, per la tua presenza, l’anta arrugginita della titubanza. Sei una volpe bianca