Innanzi ai bocci delle rose che ho piantato
cade in ginocchio il vento di Santa Ana,
a questa casa con un pezzo di giardino,
casa straniera diventata nido.
Una forza germoglia
sabotando cocciniglie
la terra dura strozza le radici,
ma la mia pianta non perisce.
Riassetto le foglie e do un ultimo sguardo
mentre con le mie valigie passo.
Saluto la via, il cielo si apre,
volo avanti nel tempo,
mi sveglia l’odore dell’aeroporto.
Un attimo a un vetro riassetto i capelli,
uno sguardo al vestito, poi prendo coraggio
e la porta si schiude.
Mia madre, mio padre
tremando mi afferrano.
È un sussulto di cuori,
l’autostrada è già casa,
San Giovanni mi aspetta
con dei mazzi d’iperico,
in questa piccola notte,
in questa piccola strada.
Cicale invisibili chiamano il giorno,
sull’ ombroso sentiero dei pini,
violette e ciclamini fanno capolino.
Innanzi alla culla di Madre Tirreno
cado in ginocchio ed è brace di rena
mentre mi sbocciano le vene
e mi trasformo in essenza,
cavalco una fiamma di sole.
Chi torna rivede, ma l’aria s’annuvola
di disumanesimo edesolazione.
Sul barroccio delle cianfrusaglie
ciondola un piede morto.
Sono ovunque straniera,
riunisco i miei semi dispersi
e li rimpiatto nelle cerniere.
Poi l’ultimo petalo tocca la terra.
Tocca la terra l’ultima rosa.
Mia madre, mio padre tremando,
richiudono l’uscio di casa.
Un aereo che passa nel cielo
è senz’altro il mio volo,
forse si abbracciano,
forse sospirano
e mi lasciano andare.