Guido Gozzano

Il responso

“Or vado, Marta, suona la mezzanotte...” O casa
di pace, o dolce casa di quell’amica buona...
 
L’alta lucerna ingombra segnava in luce i rari
pizzi dei suoi velari, ergendosi nell’ombra
 
come un piccolo sole... Durava nella stanza
l’eco d’una speranza data senza parole.
 
Nella zona di luce v’erano fiori, carte,
volumi, sogni d’arte... Contro una stampa truce
 
del Durero, una grigia volpe danese il terso
muso tendeva verso l’alto, con cupidigia.
 
C’era un profumo mite che mi tornava bimbo:
...un gracile corimbo di primule fiorite.
 
E c’era una blandizie mondana acuta fine:
...di essenze parigine, di sigarette egizie...
 
C’era un profumo forte che inebbriava i sensi:
...i bei capelli densi come matasse attorte...
 
Sotto il prodigio nero di quella chioma unica,
vestita di una tunica molle, di foggia “impero”.
 
Marta teneva gli occhi assorti ed un pugnale
fra mano, e non so quale volume sui ginocchi.
 
Tagliava, china in non so che taciturna indagine,
lentamente le pagine del gran volume intonso.
 
“La mezzanotte, Marta...” Non mi rispose, udivo
soltanto il ritmo vivo del ferro nella carta.
 
La taciturna amica con quel volume austero
m’apparve nel mistero d’una sibilla antica.
 
“Se le dicessi? Sa ella, forse, il responso,
forse nel libro intonso legge la Verità!”
 
E a quella donna, avezza a me come a un fratello
buono, mi parve bello dire la mia tristezza.
 
Ah! Se potessi amare!– Vi giuro, non ho amato
ancora: il mio passato è di menzogne amare.
 
—Mi piacquero leggiadre bocche, ma non ho pianto
mai, mai per altro pianto che il pianto di mia Madre.
 
Come una sorte trista è sul mio cuore, immagine
(se vi piace l’immagine un poco secentista)
 
d’un misterioso scrigno d’ogni tesoro grave,
me ne gittò la chiave l’artefice maligno,
 
l’artefice maligno, in chi sa quali abissi...
Marta, se rinvenissi la chiave dello scrigno!
 
Se al cuore che ricusa d’aprirsi, una divota
rechi la chiave ignota dentro la palma chiusa,
 
per lei che nel deserto farà sbocciare fiori,
saran tutti i tesori d’un cuore appena aperto.
 
Perché, Marta, non sono cattivo, non è vero?
O Marta non è vero, dite, che sono buono?
 
Molte mani soavi apersi a poco a poco
come si fa nel gioco, ma non trovai le chiavi.
 
O dita appena tocche, forse amerò domani!
e abbandonai le mani e ribaciai le bocche...
 
Ma pesa la menzogna terribilmente! O maschera
fittizia che mi esaspera nell’anima che sogna!
 
Perché, Marta, non sono cattivo, non è vero?
O Marta non è vero, dite, che sono buono?
 
Tutte, persin le brutte, mi danno un senso lento
di tenerezza... “Sento”– risi– “di amarle tutte!
 
Non sorridete, Marta?” Non sorrideva. Udivo
soltanto il ritmo vivo del ferro nella carta.
 
E ripensavo:– Se ella, forse, il responso,
forse nel libro intonso legge la Verità -.
 
“Nel cuore senza fuoco già l’anima è più stanca,
più d’un capello imbianca, qui, sulla tempia, un poco.
 
Ogni sera più lunge qualche bel sogno è fatto:
aspetta il cuore intatto l’amore che non giunge
 
O beva chi non beve, doni chi si rifiuta
prima che sia compiuta la mia favola breve!
 
Fanciullo, e verrai tu, compagno alato della
seconda cosa bella– il non essere più -
 
verrai con bende e dardi, anche, Fanciullo, a me?
O amare prima che si faccia troppo tardi!
 
L’amore giungerà, Marta?" (Nel libro intonso,
pensavo, ecco il responso lesse di Verità)
 
“l’Amore come un sole” (durava nella stanza
l’eco d’una speranza data senza parole)
 
“irraggerà l’assedio dell’anima autunnale,
se pure questo male non è senza rimedio...”
 
Ella dal Libro, in quiete, tolse l’arme, mi porse
l’arme. Rispose: “Forse!– Perché non v’uccidete?”.
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