Chiaro, pensavo guardandoti,
per la via più dritta
il colpo arriva prima e fa più male,
ma tu saresti stata con me
a sanarmi, ad amarmi comunque.
Se mi fossi amato
come pretendeva il mio Io
sarei divenuto una spada tagliente,
e se ti avessi amata davvero
mi sarei tramutato in un vaso.
Riesci a vedere il mio enigma?
Potresti riuscire a risolverlo?
Io credo di parlare a vanvera
e dire cose scontate o impronunciabili
sempre e comunque sconvenienti
poiché i pazzi non sanno
quello che a loro conviene,
e non sono responsabili
delle proprie colpe e delitti.
Ma io voglio pagare, pagare lo stesso!
anche se non ho colpa,
anche se la mia colpa è averti confuso!
Pazzo di te, in te volevo rinascere,
come fossi un alambicco,
e tutto si confuse ancora una volta
visto che l’unione non avvenne
—l’essenza del Matrimonio
dispersa a generare folletti–
ed io mi fermai al presagio
di mutamenti che desideravo per noi.
Le mie domande affascinanti
trovano risposte ingenue,
sei lusingata e divertita
dal modo fanciullesco che ho
di gattonare ai piedi della tua anima.
Potresti quasi concederti,
tanto grande è il coraggio
e grande la speranza
che ripongo sulle mie forze
e, soprattutto, nelle mie fragilità.
Scegliendoti ho preso uno specchio
e il riflesso mi è parso saturo di peccato:
tu non eri tu, ed io guardavo me
pensando di vedere te.
A separarci è stata una barriera riflettente,
ti ho addossato colpe non tue
e ho portato il peso di entrambi.
Così è sempre successo
come un eterno ritorno,
scena che cambia e rimane la stessa.
Condanna dei più
di cui pochi sono consapevoli.
Oh mia-signora,
il tuo giogo rimane comunque il più soave...
Ma mi inviti a desistere,
troppo siamo uguali,
forse sarebbe davvero contro natura
bastarci per quello che siamo
scommettere su libertà assolute,
scordarci del fato crudele,
anche se nelle mie corte notti
durante sogni febbrili
odo discorsi inconfutabili
che mi spingono a dubitare delle veglie,
durante le quali soggiaccio
alla disarmonica realtà dei più.