Christian Collu

La spada e il vaso

Chiaro, pensavo guardandoti,
 
per la via più dritta
 
il colpo arriva prima e fa più male,
 
ma tu saresti stata con me
 
a sanarmi, ad amarmi comunque.
 
Se mi fossi amato
 
come pretendeva il mio Io
 
sarei divenuto una spada tagliente,
 
e se ti avessi amata davvero
 
mi sarei tramutato in un vaso.
 
Riesci a vedere il mio enigma?
 
Potresti riuscire a risolverlo?
 
Io credo di parlare a vanvera
 
e dire cose scontate o impronunciabili
 
sempre e comunque sconvenienti
 
poiché i pazzi non sanno
 
quello che a loro conviene,
 
e non sono responsabili
 
delle proprie colpe e delitti.
 
Ma io voglio pagare, pagare lo stesso!
 
anche se non ho colpa,
 
anche se la mia colpa è averti confuso!
 
Pazzo di te, in te volevo rinascere,
 
come fossi un alambicco,
 
e tutto si confuse ancora una volta
 
visto che l’unione non avvenne
 
—l’essenza del Matrimonio
 
dispersa a generare folletti–
 
ed io mi fermai al presagio
 
di mutamenti che desideravo per noi.
 
Le mie domande affascinanti
 
trovano risposte ingenue,
 
sei lusingata e divertita
 
dal modo fanciullesco che ho
 
di gattonare ai piedi della tua anima.
 
Potresti quasi concederti,
 
tanto grande è il coraggio
 
e grande la speranza
 
che ripongo sulle mie forze
 
e, soprattutto, nelle mie fragilità.
 
Scegliendoti ho preso uno specchio
 
e il riflesso mi è parso saturo di peccato:
 
tu non eri tu, ed io guardavo me
 
pensando di vedere te.
 
A separarci è stata una barriera riflettente,
 
ti ho addossato colpe non tue
 
e ho portato il peso di entrambi.
 
Così è sempre successo
 
come un eterno ritorno,
 
scena che cambia e rimane la stessa.
 
Condanna dei più
 
di cui pochi sono consapevoli.
 
Oh mia-signora,
 
il tuo giogo rimane comunque il più soave...
 
Ma mi inviti a desistere,
 
troppo siamo uguali,
 
forse sarebbe davvero contro natura
 
bastarci per quello che siamo
 
scommettere su libertà assolute,
 
scordarci del fato crudele,
 
anche se nelle mie corte notti
 
durante sogni febbrili
 
odo discorsi inconfutabili
 
che mi spingono a dubitare delle veglie,
 
durante le quali soggiaccio
 
alla disarmonica realtà dei più.

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