E tu, di Minerva ministra,
che per trecce infuocate
coroni il tuo capo,
hai un cuore tra i seni
e lo servi al destino?
Da me attendi l’inchino
della corte consueta?
O tu, forma lieta
d’un dolore non mio,
che sai della vita
oltre l’affanno corporeo?
Tu come la lingua del rovo
sul muro che porti alle spalle,
incendio che innalza scintille
nell’aria che perde colore,
mi pari una vampa nel cuore.
O bibliotecaria di fuoco,
che copri di rame la chioma,
nel vento distingui l’aroma
che dal rosso del sangue diffonde?
Ascolta disperse le fronde
danzare al silenzio dell’uomo.
Ad esse, celato, risponde
il cantico dell’usignolo.
Comprendi il suo limpido eloquio
che all’anima è quieto clangore?
O tu incoronata dal fuoco,
comprendi quel verbo d’amore?