Visti dal cielo, siamo abbastanza storti, stolti, goffi, corti, deviati e contorti. Siamo affannati,
Campane, rintocchi di vespri paesani, di tramonti
Gli Archi de Roma, da tempio di storia a inno de malinconia, sepolte memorie e frettolose scene
tra le rocce scure, intarsiano ricami come sagome
Follia sulla riga di una lacrima Follia sulla riga di una lacrima, spergiuro sangue sparso con disprezzo
Ritmi di chiaro scuro, il lampo di un faro e la punta su un calamaio liberano un segnale raro,
Ciao Neve! Grembo d’infinito sospeso manto bianco e indefinito tra il seme della terra,
Aurore Il lirico suono delle aurore boreali fluttua di magia, specchio di emozioni,
La Luna scende le scale sul crinale, tra stelle e tramonti a volte, al naturale, a volte sulla scena,
Sequenze di natura Fasciano i campi, tracciano le rocce, ne sposano le vette spinte
Festa dei Fiori a Primavera Quando la preghiera si fa confusa, malinconica e lontana,
Vecchi! Siamo uno scalino del futuro, e ci riguardate come un’anta,
Vivi il tempo della morte Vedi il tempo della morte battere in ogni cadenza vivilo, tracciane ogni sequenza;
Sfilavano come stelle o fiocchi di neve, sublimi ed inerti, madidi e avvolgenti, mentre
L’Astronomia è il passatempo dei villani, aleggia grata al sole di collina come canto di gallina