Il soffione si sperde,
rimacina veli di spilli
in sprigne pennellate
sui muri raspati di Milos
nel vento di Nord– Est;
memore di antiche meridiane
con moto di crisalide
mesto s’assottiglia.
Guardo in lontananza
snodi abbaglianti di case bianche,
ricadono in crepe d’argilla
rampicanti fiori rossi di bignonie,
nello scrèpolo di nebuli scorci dove sosta il geco avvinto lungo la cicatrice del muro glabro.
Il ragno sa che il filo può spezzarsi e tende il filamento sull’intonaco trasverso.
Si scosta la tenda dietro la piattaia,
si pande il sole verderame
sul groppo del piumacolo
mentre falene girano intorno
alla fiamma di una candela.
Stordente scalpiccío
nella zona d’ombra
della fragolàia,
si corruga l’elianto
sull’orlo sbeccato del frontone,
l’albatros sorvola il mascherétto.
Si svela lo schianto
del passo furtivo
in cieche retrovìe– non era
il vuoto del disegno -
dei cigli bistrati di corvi bassi
nel barlume di una volièra,
sul pendio a vista,
dove tremano inostrati nembi.