Ti distanzi dalle onde
dalla radianza di terre emerse,
stravagati mulinelli di corolle,
dal rosicchiolo corvino.
Nel frastuono di scarne spole
ricadono tre more nell’incarto
di parole, il giardino inerte tace
la magagna di filaccia
e la luce pare strana
lungo il viale di mandaranci,
di lampioni strutti come limoni,
di vaiate lastre, inerpicate stanze.
Tangente il fedito fianco
al fiore dissennato
alla polpa di zinzania,
al grepo sorbo,
si perde l’orma del drappello
nella malerba di una caerdroia,
se dimori il tempo sbroglia
il romorio stridulo di cingolati
nel passo terso di fenice,
siffatto screpo che mai si seppe
il marrirsi del contrappasso.
Thea Matera ©