Chiusi, come le donne dei soldati
aspettano, austeri monoliti
lontani come volti di antenati
osservano, esercito di statue,
foglie di remoti sogni dispersi
sui tavoli corpi d’antico agone
quando tutto sembrava possibile.
Con il potere dei libri bastava
la volontà: governa tutti i mondi
la legge differenziale di Newton.
Volavano, al vento dei vent’anni
le pagine, e nella notte solo
di un geco l’immobile età,
e una candela e posso dire senz’altro
di avere già vissuto, in eterno.
Avevo vent’anni e ne ho avuti cento,
nascosto come un topo, rannicchiato
tra vestiti sparsi, tra libri resti
delle tentate evasioni dal vuoto
che ovunque vada mi rimette al centro
di questa perversa specie di gioco.
Sono come la moglie del soldato
che aspetta un crociato che più non torna.
E Penelope forse questa volta
ha già sigillato il nodo finale.
Non servirà la spada, né la forza:
il mio nemico è oltre lo specchio
dietro quegli occhi cerchiati, sono io.
Non valgono più, volontà e impegno,
le regole sono diverse adesso
qui si cerca il tesoro, la formula,
infiniti da dire all’infinito:
aggiungere, riprovare, togliere,
cambiare, combinare, poi sperare.
Ora si ferma il tempo sulla strada:
sono come una lancetta indecisa
che divide quel fiume di persone
che si richiude senza avermi visto.
Ma si sa, un giocattolo di latta
non può mai ricaricarsi da solo.
Ora si ferma il tempo in questa stanza
resto solo resta una penna vuota
sui fogli di una agenda senza note.
Per favore, sui terrazzi di notte
cercate un geco e la mia candela,
un ragazzo bizzarro, un cappuccio
di un piumino troppo corto, guardate
la manica destra se è rammendata,
ditegli che lo aspetto ancora qui
e che non ho chiuso l’ultimo nodo.