Nicoletta

A MARGOT

lettera a Margot,con la speranza che tu non risponda mai .
-R

Margot,
smettila di scrivermi lettere, ti prego.

Quando arriva in casa una tua lettera, io litigo con mia moglie perché crede che io la tradisca.

Lei non lo sa che sei folle Margot, non lo sa.

Non può saperlo perché io non le parlo di te e non l’ho mai fatto, ma tu continui a tormentarmi con questo giochino perverso della corrispondenza epistolare, sciocco io che ogni volta ci casco.
Sei una strega, ti diverti a far soffrire una povera donna innocente solo perché ha preso il tuo posto, il posto che –detto onestamente Margot-tu hai abbandonato senza indugiare troppo.

Ti rendi conto che in queste lettere mi continui a sedurre senza pudore?

Non sei cambiata per niente, ti vendi come carne fresca agli uomini come facevi un tempo, è un vero peccato, sei molto più di questo ed io lo ricordo bene.

Certo Margot tu sei un’anima distaccata dalla realtà, sei disturbata ed imponderabile a tal punto che non ricordo nemmeno quanti viaggi in treno mi hai reso impossibili, ti muovevi di continuo e mettevi le scarpe sui sedili, ti ammansivi come gli animali solo quando arrivavamo a destinazione. Sono stati anni i nostri, che faccio fatica a definire, il sentimento che ho provato per te ha bruciato talmente forte che credo di esser stato in un altro tempo. Ti ho amata intensamente, ti ho sentita in parti del corpo che non sapevo di avere, mi hai incantato con le tue strane ambizioni, le tue manie e i tuoi pensieri stralunati; quando ti ho conosciuta credevo in Dio perché amavo la bellezza, quando ci siamo persi ho smesso di crederci, perché ho visto quanto il diavolo può attrarre e sembrare un angelo.

Il tuo fascino mi ha costretto ad amarti, non avrei potuto fare altrimenti, mi hai condannato o forse mi hai lanciato un sortilegio, dopo di te tutte le donne che ho conosciuto mi sanno del nulla.
Solo mia moglie è riuscita a mitigare questo fardello, per questo le voglio molto bene Margot, è tutto quello che tu non sei mai stata. Lei sa calmarmi, sa prendersi cura di me ed allieta le mie giornate con dolcezza, prepariamo insieme i biscotti e lei canta per me il pomeriggio mentre io suono il pianoforte. Lo so cosa starai pensando, che noi su quel pianoforte facevamo l’amore; dopo che ascoltavi qualche mia composizione ti avvicinavi e mi toccavi i capelli, poi ridevi divertita ed indietreggiavi sciocca come una scolaretta, ti sfilavi le calze –che eri solita indossare lunghe fino alle ginocchia– e le lasciavi cadere sul pavimento, mi guardavi ed io non resistevo. Non riuscivo a resistere, un nostro bacio era il sigillo di ore di ininterrotta intimità in tutte le parti della casa, tu con quell’aria leggera ed io smarrito tra i tuoi fianchi e le tue ginocchia. Io assuefatto dal sapore che avevi, inconfondibile, ti piaceva molto lavarti con le saponette all’olio che per nulla ti smacchiavano di dosso la puzza di fumo, che sul tuo manto perlato perdonami, ma creava un brutto contrasto. Mi piacevi perché mettevi in crisi le mie certezze da uomo di scienza, eri in grado di mettermi in confusione e di sradicarmi, per te ho lasciato indietro tutta la mia genesi, i miei amici ed i miei studi sul “salto quantico” e tu sai quanto era importante per me. Ti spiegavo con pazienza la storia dell’elettrone che ruota intorno al nucleo di un atomo e viene colpito dalla luce, quindi cambia stato energetico e passa ad orbita diversa, ma tu non ne volevi proprio sapere; per te era questione di spirito. L’elettrone sarebbe stato a detta tua condizionato da una serie di eventi magico-teurgici, il salto quantico una forma altissima di manifestazione tramite l’energia dell’uno. Mi sentivo bene quando riducevi all’ irrazionale le teorie consolidate, non lo facevi con superbia ne altezzosità, a te piaceva vivere nell’assurdo e nel sublime, ma poi come darti torto... gli occhi tuoi cresciuti in natura, tra bestie e campi immensi di spighe, come potrebbero mai credere che questo non sia opera di una meravigliosa creatura celeste?

Sei nata tra le campagne, sei sbucata fuori dalla terra come le coltivazioni dei tuoi genitori, eri abituata a mangiare i pomodori raccolti dalle tue mani, a far partorire le vacche, non conoscevi aria sporca ne dissolutezza urbana.

Di fatto cara Margot, ti sei avvelenata quando hai scelto di diventare un ratto come me in questa grande trappola chiamata città. Da quando hai conosciuto l’umanità –quella inquinata–, la lussuria, i vizi e la mondanità, ti sei trasformata pian piano, in tutto ciò che hai ripudiato sempre. Ti imborghesivi sempre di più, ti mettevi sempre in mostra con i miei amici e colleghi professori,
amavi stuzzicare la loro libidine virile, la mettevi alla prova tramite le tue “orazioni” plateali circa la filosofia che IO ti avevo fatto conoscere, vantavi grandi capacità di analisi dei testi greci, che IO ti avevo insegnato a leggere con devozione e religioso rispetto. Intavolavi discorsi persino su opinioni politiche che non ti competevano, infuocandoti alla minima questione, difendendo il tuo pensiero con maestria, quasi come se fossi nata per farlo. Quando tornavamo a casa io mi arrabbiavo, perché tutti quegli stolti ti spogliavano con gli occhi e non ascoltavano un solo tuo studiatissimo discorso, perché tu volevi che tutti sapessero della tua intelligenza, ma loro volevano solo sapere quali fossero le tue sembianze sotto gli indumenti; ma tu non capivi il mio timore e ti sentivi giudicata, “tu non vuoi che io sia meglio di te” mi dicevi, “non sei mio padre” mi urlavi quando ti rimproveravo per la tua esuberanza. Io non volevo farti da padre, tu ti nascondevi dentro il mio petto e dormivi rannicchiata, lì l’amore mutava forma e diventava, l’amore tenero puro e connaturato, quello ancora non macchiato dal peccato della vita.

Oggi ancora penso e ripenso alle nostre avventure, sento ancora addosso il brivido del tuo tocco, la sofferenza nelle ossa alberga costante, perché tu dovevi amarmi per sempre, non dovevi trattarmi così male Margot, io con te non avrei nemmeno voluto figli pur di non condividerti, per quanto bella sarebbe stata una bambina con le “gote tue”, avrei preferito sentire per sempre in casa l’eco dei nostri silenzi piuttosto che voci estranee al mio cuore. Hai deciso così, un giorno sei andata fuori di testa e hai ben pensato che io fossi d’intralcio per la realizzazione dei tuoi desideri strambi, perché non volevi crescere, sognavi ad occhi aperti e non riuscivi ad accettare il corso del tempo; così credevi che vivere soli fosse vivere meglio, liberi dalle passioni che ci rendono mortali.

Tu sei pazza Margot questo è chiaro,
ma io ho davvero accettato tutto di te, ho forzato me stesso a non trovare una spiegazione analitica, a non trovare nessun teorema che si addicesse alla tua personalità, non ti ho mai voluta diversa, ma forse a te questo stava stretto. Io non sono più lo stesso dall’ultima volta che i nostri occhi si sono abbracciati piangendo, ho per un periodo pensato ad andare in terapia, ma queste sono stronzate da umanisti come te lo sai. Ho continuato ad insegnare a fatica, senza quella sensazione di adrenalina che mi mettevano i 10 minuti prima della campanella, dopo cui solitamente sarei tornato a casa e avrei trovato te bella come belle erano per me le donne greche, con quel tuo vestitino bianco che usavi per pulire e i lunghi capelli raccolti in una coda di cavallo; quando tu lavoravi mi lasciavi sempre un biglietto con frasi enigmatiche ed una phi per firmarti.

Ho conosciuto mia moglie perché insegna come me, come ti dicevo prima, lei ci tiene molto e mi fa sentire amato, per questo ho deciso di sposarla. Forse ammetto di averlo fatto perché sono un codardo e ho avuto paura di morire con il tuo nome in bocca, ma non penso di aver sbagliato. Lei ha la testa sulle spalle, addirittura dice che sono io il folle tra i due, ci credi?

Il fatto che tu abbia iniziato a scrivermi lettere da quando hai saputo del mio matrimonio, non ti nego che mi abbia eccitato non poco; l’idea che tu potessi essere gelosa o potessi soffrire la mia assenza ha rinfrancato le mie giornate e mi ha riportato in vita. Ho sperato molto dentro di me, che tu mi scrivessi per propormi una fuga, io non avrei accettato subito ma probabilmente avrei pianto di gioia come un bambino e sarei scappato nella notte come un ladro, ansioso di rivedere il tuo volto e di fare l’amore con te strappandoci la carne dal desiderio, dalla mancanza.

Però ahimè, tu non ti smentisci, rimani li dove ti ho lasciata, anzi dove mi hai lasciato.

Questa è l’ultima mia risposta, perché così io temo di morire prima del dovuto, morire di collera e di pena per me stesso, questo non è giusto per mia moglie che ha scelto di buttare via il suo tempo con me. Per quanto mi riguarda potrei gettare via questo ammasso di ossa  che rimane di me, perché sono già morto tempo fa, quando sei andata via.

Non scrivermi più lettere a meno che tu non abbia voglia di amarmi davvero, dubito che possa succedere, ma forse, il salto quantico esiste anche per l’amore, forse entrerai nella mia orbita una volta per tutte, senza saltare qua e la in cerca di risposte.

Addio Margot, sii magica anche per me, che senza te non credo più manco alle stelle.

Scritto mio . @nijcoletta

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