I.
Noi ci vedemmo sotto cieli tetri,
vite di Cipro, al tempo che tu arricci
pochi rimasti pampini ed arsicci
sui tralci immiseriti come spetri.
Ci rivediamo che ricopri i vetri
di verde folto, allacci di viticci
e attingi coi tuoi grappoli biondicci
la loggia, in alto, più di venti metri.
Chi vede le tue prime foglie vizze,
o loggia solatia, in Vigna Colta,
come un’amica dolce ti ricorda.
Tu fosti che indulgesti alle sue bizze,
quando Centa vietava la raccolta
alla piccola mano troppo ingorda.
II.
M’è caro, loggia, poi che le tue pigne
la nuova luna di settembre invaia,
piluccare i bei chicchi a centinaia
fra le grandi compagini rossigne.
Più mi compiaccio in te che nelle vigne,
ma, poiché getto i fiocini ne l’aia,
Centa s’avvede, Centa la massaia
mi ricerca con l’iridi benigne.
“Bevesti il latte che non è mezz’ora!
Uva e latte dispandon per le membra
tossico fino! Quella gola stolta!...”
Sgridami, Centa! Sali come allora
a condurmi pel braccio via! mi sembra
che tu debba allevarmi un’altra volta...