I.
D’oro si fanno brune le cupole stupende,
ma sotto il cielo illune il cielo d’oro splende.
Splende l’emblema come nel codice ammirando:
Venezia trepidando nel sacrosanto nome.
Sta l’Angelo di Dio, sta col fatale incarco
lassù “Pace a Te, Marco, Evangelista mio!”
Intorno gli fan coro tutti i Profeti, in rari
musaici millenari. Palpita il cielo d’oro.
Il palpito millenne corre Santi e Madonne;
vivono le colonne, le fragili transenne.
Ma quale antica Ambascia il Tempio oggi ricorda,
difeso nella sorda materia che lo fascia?
II.
Pei ciechi balaustri, per le navate ingombre
passano grigie l’ombre di tutti i dogi illustri.
Dice uno Zani: Vissi pel tempio apparituro.
Quale nemico oscuro sale dai ciechi abissi?
Dov’è l’icona fine di quattromila perle,
mirabili a vederle tra l’opre bizantine?
Dove le croci greche, sante in Gerusalemme,
i codici, le gemme, i calici, le teche?
E dice un Selvo: Tolsi i marmi d’oltremare:
posi con questi polsi la pietra dell’altare.
La Bibbia m’ammoniva. Sculpii divotamente.
La pietra fu vivente: dov’è la pietra viva?
Gli Zorzi i Mocenigo i Vanni i Contarini
i Gritti i Morosini i Celsi i Gradenigo
guatano il legno greggio che cela marmi ed ori.
—Minacciano i tesori i barbari e il saccheggio?
—Risorgono al reame i Turchi gli Unni i Galli?
Tornarono i cavalli all’ippodromo infame?
III.
Sta l’Angelo di Dio, sta col fatale incarco
lassù “Pace, a Te, Marco, Evangelista mio!”
Santo dei Santi eroi guerrieri e marinai,
o Santo, o tu che fai che “noi si dica noi”,
quale remota ambascia il Tempio tuo ricorda,
difeso nella sorda materia che lo fascia?
Minacciano i tuoi beni, la Chiesa disadorna
Barbari e Saraceni! Ah! Ciò che fu ritorna!