Guido Gozzano

Domani

per l'amico
Silla Martini de Valle Aperta

I.
 
Il corruscante cielo d’Oriente
a gran distesa lodano gli uccelli,
Aurora arrossa i bianchi capitelli
sul tempietto di Leda, intensamente.
 
Tolgon commiato tra le faci spente
gli ospiti stanchi. Un servo aduna i belli
fiori che inghirlandano i capelli
e li gitta allo stagno, indifferente.
 
Le rose aulenti nella notte insonne,
le rose agonizzanti, morte ai baci
nelle capellature delle donne,
 
scendon piano con l’alighe tenaci,
in su la melma livida e profonda,
con le viscide larve dei batraci.
 
II.
 
Pace alle rose in fondo dello stagno,
in loro fredda orrenda sepoltura;
pur anche la sua gran capellatura
dischioma l’olmo il pioppo ed il castagno.
 
Il cigno guata, mutolo e grifagno,
lo stagno ricolmarsi di frondura.
Silla, sognamo. Tutto ci assicura
l’ultima pace e l’ultimo guadagno.
 
Guarda, fratello: innumeri le foglie
attorte e rosse e gialle, senza strazio,
distaccansi dal ramo, lentamente;
 
la Madre antica in sé tutte le accoglie.
Sognamo, Silla, memori d’Orazio,
quel sogno confortante che non mente.
 
III.
 
Perché morire? La città risplende
in Novembre di faci lusinghiere;
e molli chiome avrem per origliere,
bendati gli occhi dalle dolci bende.
 
Dopo la tregua è dolce risapere
coppe obliate e trepide vicende -
bendati gli occhi dalle dolci bende -
novellamente intessere al Piacere.
 
Ma pur cantando il canti di Mimnerno
sento che morta è l’Ellade serena
in questo giorno triste ed autunnale.
 
L’anima trema sull’enigma eterno;
fratello, soffro la tua stessa pena:
attendo un’Alba e non so dirti quale.
 
IV.
 
Che giovò dunque il gesto di chi disse:
“Il gran Pan non è morto! Ecco la via
dell’allegrezze nove. Ovunque sia
dato l’annunzio del novello Ulisse!
 
Il flavo Galileo che ci afflisse
di tenebrore e di malinconia
e quella scialba vergine Maria
e quella croce diamo alle favisse!"?
 
Nulla giovò. L’impavide biasteme
non rianimeran lo spento sguardo
dei numi elleni sugli antichi marmi.
 
“Lor giuventude vive sol nei carmi.”
Secondo la parola del Vegliardo
il fato ineluttabile li preme.
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