Guido Gozzano

Della passera dei santi

Macroglossa Stellatarum

Non tenebrosa come l’Acherontia -
benché sfinge e parente– ma latrice
di pace, messaggiera di speranze:
portanovelle, passera dei Santi,
col mattino chiarissimo di giugno
penetrò nella mia stanza tranquilla
la macroglossa rapida. L’illuse
questa banda di sole, questa rosa
vermiglia che rallegra le mie carte,
turbinò prigioniera visitando
le dipinte ghirlande del soffitto,
rapida giù per le finestre aperte
si dileguò come da corda cocca.
 
Certo in giardino la ritroveremo
sul caprifoglio che ricopre i muri
d’una cortina folta innebriante.
Eccola in opra sui corimbi; guizza
da fiore a fiore come una saetta,
sosta, si libra, immobile nell’aria,
immerge la proboscide nel calice,
e il corpo appare immoto nell’aureola
dell’ali rivibranti: spola aerea,
prodigio di sveltezza equilibrata!
 
Tutto– nel capo aguzzo, nelle antenne
reclini sotto i palpi, nelle zampe
brevi aderenti al corsaletto lustro,
nell’addome sfuggente affusolato,
munito d’una spata di pelurie
mobile forte come cocca espansa
atta a guidare e a mitigare il volo -
tutto s’affina nella macroglossa
a fender l’aria, vincere lo spazio
visitare i giardini più remoti
in brev’istanza, messaggiera arcana
da fiore a fiore. E i fiori si protendono
verso l’insetto, come ad un’offerta.
 
Amica, sotto il nostro sguardo ignaro
si celebra tra il fiore e la farfalla
il rito più mirabile, il mistero
più tenero: le nozze floreali.
 
“Mariti uxores unoeodemque thalamo
gaudent...”, Linneo meditabondo scrive.
Degli sposi gran parte nasce vive
ama nel tabernacolo smagliante
della stessa corolla; sul pistillo
giunge dall’alto degli stami il bacio
desiderato, il polline fecondo.
 
Ma dopo esperïenze millenarie
molti fiori s’avvidero che il bacio
nella stessa corolla, che lo stimma
fecondato dal polline fraterno,
conduceva la stirpe in decadenza,
e vollero l’amplesso dell’amante
lontano e meditarono le nozze
non possibili. Alcuni, gli anemofili
affidarono i baci d’oro al vento;
gli entomofili vollero gli insetti
paraninfi discreti e vigilanti.
Ma il fiore – che sa tutto – non ignora
che vano è al mondo attendere conforto
se non da noi, che la farfalla esiste
pel suo bene soltanto e la sua specie;
ed ecco le scaltrezze del richiamo:
i colori magnifici, i profumi
ineffabili, il nettare che il fiore
distilla in fondo al calice, a compenso
del messaggio d’amore, per attingere
la coppa ambrosia con la sua proboscide,
la macroglossa deve tutti compiere
i riti delle nozze floreali.
 
Dall’epoca dell’arco e della clava
ai giorni più recenti del telaio,
del paranco, del fuso, dell’ariete,
quando – e fu ieri – nostre meraviglie
erano l’archibugio e l’orologio,
i piccoli inventori propagavano
la specie con mirabili congegni:
l’elica rapidissima, il velivolo
dell’acero, del tiglio, il vagabondo
paracadute argenteo del cardo,
la capsula esplosiva dell’euforbia,
l’arma della mormodica potente,
il gioco delle valvole, dei tubi
intercomunicanti d’Archimede
bene eseguito dalle piante acquatiche,
l’ampolla chiusa, i piani inclini della
ginestra, i raffi che lo scantio aggancia
al pelo od alla veste del passante,
tutti gli ordegni meditati, tutti
gli accorgimenti per coperte vie,
adatti a propagare la semenza
schiusa dall’ombra torpida materna.
 
Questo popolo verde che ci appare
inerte e rassegnato, è il più ribelle
alla fatalità che lo condanna
in terra, dalla nascita alla morte.
Un desiderio senza tregua, come
di trasformarsi, sale dalla tenebra
delle radici, grida nella luce
delle corolle, cerca la sua legge:
liberarsi, fuggire, modulare
l’ali, imitare le farfalle al volo.
 
A tante meraviglie il nostro vano
orgoglio mal s’oppone col sofisma
che l’intesa tra il fiore e la farfalla
è fissa, che il mirabile congegno
non muta. Ma il convolvo domestico
abolisce il nettario, più non chiama
la macroglossa da che sente l’uomo
paraninfo sicuro e vigilante;
altri fiori depongono gli aculei,
il latice, i viticci, da che l’uomo
li difende li guida li sorregge.
 
I fiori precedettero gli insetti
sulla terra nel tempo delle origini;
questa sola certezza ci rivela
un’intesa tra il fiore e la farfalla,
ci rivela che i piccoli inventori
sovvertono le leggi ed i modelli.
All’apparire della macroglossa
il caprifoglio congegnò se stesso
all’indole dell’ospite imprevista.
Altri dica: è Natura, e non il fiore,
è Natura che fa tanto sottili
provvedimenti! Menoma per questo
forse il fervore della nostra indagine?
Un enimma più forte ci tormenta:
penetrare lo spirito immanente,
l’anima sparsa, il genio della Terra,
la virtù somma (poco importa il nome!),
leggere la sua meta ed il suo primo
perché nel suo visibile parlare.
 
Per chi cerca il volume a foglio a foglio
il genio della Terra– il genio certo
dell’Universo intero– si comporta
non come Dio ma come Uomo, attinge
le stesse mete con gli stessi metodi:
tenta s’inganna elimina corregge
sosta dispera spera come noi;
scopre ed inventa lento come il fisico,
calcola incerto come il matematico,
orna la terra come il buono artista.
Come noi lotta con la massa oscura
pesante enorme della sua materia;
non sa meglio di noi dov’esso vada,
agogna verso un ideale solo:
elaborare tutto ciò che vive
in sostanza più duttile e sottile,
trarre dalla materia il puro spirito.
Dispone d’alleanze innumerevoli,
ma le sue forze intellettive sono
pari alle nostre, nella nostra sfera.
 
E se non sdegna gli argomenti umani,
se tutto ciò che vibra in noi rivibra
in lui; se attende come noi quel Bene
sommo che la speranza ci promette,
giusto è pensare che su questa Terra
la traccia nostra non è fuor di strada,
giusto è pensare che un’intelligenza
sola, universa, sparsa ed immanente
penetra in guisa varia i corpi buoni
men buoni conduttori dello spirito;
giusto è pensare che tra questi l’uomo
è lo stromento dove più rivibra
la grande volontà dell’Universo.
 
Se la Natura mai non s’ingannasse
e tutto conoscesse e ovunque e sempre
rivelasse un ingegno senza fine,
noi dovremmo temere dell’enigma,
vacillare tremanti e sbigottiti;
ma il genio della Terra e il nostro spirito
attingono fraterni a una sorgente
sola; noi siamo nello stesso mondo
ribelli alla materia, eguali, a fronte
non di numi tremendi inaccessibili
ma di fraterne volontà velate.
 
Amica, forse troppo a lungo e troppo
superbamente noi c’immaginammo
creature divine incomparabili
senza parenti sulla Terra. Meglio
ritrovarsi tra i fiori e le farfalle,
essere peregrin come son quelli,
verso la meta sconosciuta e certa.
Certa è la meta. Com’è dato leggere
tutto il destino della Macroglossa
in ogni parte del suo corpo aereo
foggiato ad eternare la bellezza
d’una fragile stirpe floreale,
chiaro si legge il compito dell’uomo
nel suo cervello e nei suoi nervi acuti.
Nessuno s’ebbe più palese il dono
d’elaborare la materia sorda
in un’essenza non mortale: anelito
di tutto ciò che vive sulla Terra
fluido strano ch’ebbe nome Spirito,
Pensiero, Intelligenza, Anima, fluido
dai mille nomi e dall’essenza unica.
Tutto di noi gli è dato in sacrificio:
la ricchezza del sangue, l’equilibrio
degli organi, la forza delle membra,
l’agilità dei muscoli, la bella
bestialità, l’istinto della vita.
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