Guido Gozzano

Della testa di morto

Acherontia Atropos

D’estate, in un sentiero di campagna,
v’occorse certo d’incontrare un bruco
enorme e glabro, verde e giallo, ornato
di sette zone oblique turchiniccie.
Il bruco errava in cerca della terra
dove affondare e trasmutarsi in ninfa;
e dalla gaia larva, a smalti chiari,
nasceva nell’autunno la più tetra
delle farfalle: l’Acherontia Atropos.
 
Certo vi è nota questa cupa sfinge
favoleggiata, dal massiccio addome,
dal corsaletto folto, con impresso
in giallo d’ocra il segno spaventoso.
 
Natura, che dispensa alle Dïurne
i colori dei fiori e delle gemme,
Natura volle l’Acherontia Atropos
simbolo della Notte e della Morte,
messaggiera del Buio e del Mistero,
e la segnò con la divisa fosca
e d’un sinistro canto. L’entomologo
tuttora indaga come l’Acherontia
si lagni. Disse alcuno, col vibrare
dei tarsi. Ma non è. Mozzato ho i tarsi
all’Acherontia e s’è lagnata ancora.
Parve ad altri col fremito dei palpi.
Io cementai di mastice la bocca
all’Acherontia e s’è librata ancora
per la mia stanza, ha proseguito ancora
più furibondo il grido d’oltretomba;
grido che pare giungere da un’anima
penante che preceda la farfalla,
misterïoso lagno che riempie
uomini e bestie d’un ignoto orrore:
ho veduto il mio cane temerario
abbiosciarsi tremando foglia a foglia,
rifiutarsi d’entrare nella stanza
dov’era l’Acherontia lamentosa.
 
L’apicultore sa che questo lagno
imita il lagno dell’ape regina
quando è furente contro le rivali
e concede alla sfinge d’aggirarsi
pei favi, sazïandosi di miele.
L’operaie non pungono l’intrusa,
si dispongono in cerchio al suo passaggio,
con l’ali chine e con l’addome alzato,
l’atteggiamento mite e riverente
detto “la rosa” dall’apicultore.
E la nemica dell’apicultore
col triste canto incanta l’alveare.
 
All’alba solo, quando l’Acherontia
intorpidita e sazia tace e dorme,
l’operaie decretano la morte.
Depone ognuna sopra l’assopita
un granello di propoli, il cemento
resinoso che tolgono alle gemme.
E la nemica è rivestita in breve
d’una guaina e non ha più risveglio.
L’apicultore trova ad ogni autunno,
tra i favi, questi grandi mausolei.
 
Farfalla strana, figlia della Notte,
sorella della nottola e del gufo,
opra non di Natura, ma di dèmoni,
evocata con filtri e segni e cabale
dalle profondità d’una caverna!
Bimbo, ricordo, per le mie raccolte,
sempre immolai con trepidanza questa
cupa farfalla, quasi nel terrore
di suscitare con la fosca vittima
l’ira d’una potenza tenebrosa.
E anche perché l’Atropo mi parla
di cose rare, dell’antiche ville.
Sul canterano dell’Impero, sotto
la campana di vetro che racchiude
le madrepore rare e le conchiglie,
sta quasi sempre l’Acherontia Atropos
depostavi da un nonno giovinetto.
 
L’Acherontia frequenta le campagne,
i giardini degli uomini, le ville;
di giorno giace contro i muri e i tronchi,
nei corridoi più cupi, nei solai
più desolati, sotto le grondaie,
dorme con l’ali ripiegate a tetto.
E n’esce a sera. Nelle sere illuni
fredde stellate di settembre, quando
il crepuscolo già cede alla notte
e le farfalle della luce sono
scomparse, l’Acherontia lamentosa
si libra solitaria nelle tenebre
tra i camerops, le tuje, sulle ajole
dove dianzi scherzavano i fanciulli,
le Vanesse, le Arginnidi, i Papilî.
L’Acherontia s’aggira: il pippistrello
l’evita con un guizzo repentino.
L’Acherontia s’aggira. Alto è il silenzio
comentato, non rotto, dalle strigi,
dallo stridio monotono dei grilli.
La villa è immersa nella notte. Solo
spiccano le finestre della sala
da pranzo dove la famiglia cena.
L’Acherontia s’appressa esita spia
numera i commensali ad uno ad uno,
sibila un nome, cozza contro i vetri
tre quattro volte come nocca ossuta.
La giovinetta più pallida s’alza
con un sussulto, come ad un richiamo.
“Chi c’è?" Socchiude la finestra, esplora
il giardino invisibile, protende
il capo d’oro nella notte illune.
“Chi c’è? Chi c’è?" "Non c’è nessuno. Mamma!”
Richiude i vetri, con un primo brivido,
risiede a mensa, tra le sue sorelle.
Ma già s’ode il garrito dei fanciulli
giubilante per l’ospite improvvisa,
per l’ospite guizzata non veduta.
Intorno al lume turbina ronzando
la cupa messaggiera funeraria.
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