Guido Gozzano

Dell’ornitottera

Ornithoptera Pronomus

Sopra l’astuccio nitido di lacca
una fascia di seta giavanese
evoca un mare calmo che scintilla
tra i palmizi dai vertici svettanti.
 
Mi saluta un mio pallido fratello
navigatore in quelle parti calde
d’India, mi parla delle mie raccolte,
ricorda la mia grande tenerezza
per le cose che vivono, rimpiange
di non avermi seco nelle valli
favolose, mi manda una farfalla
che mi porti il saluto d’oltremare
attraverso la mole della Terra,
dalle selve incantate degli antipodi.
 
Con un tremito lieve delle dita
apro l’astuccio d’erba contessuta
e in un bagliore d’oro e di smeraldo
ecco m’appare la farfalla enorme
che mi giunge di là, che riconosco.
L’Ornithoptera Pronomus, la specie
simbolica dell’isole remote,
la meraviglia che i naturalisti
del tempo andato, reduci da Giava,
dalle Molucche, dalla Polinesia,
ci descrissero in libri malinconici.
L’Ornithoptera Pronomus, la mole
abbagliante che supera ed offusca
le più belle farfalle dei musei.
 
Con un tremito lieve nelle dita,
il tremito che forse l’entomologo
comprende... estraggo delicatamente,
esamino il magnifico esemplare.
Mistero intraducibile ch’emana
dalle farfalle esotiche! Lo sguardo
si perde, si confonde sbigottito
come da forme soprannaturali;
misera veste delle nostre Arginnidi,
delle nostre Vanesse, delle nostre
più belle specie, comparate a questa
meravigliosa forma d’oltremare!
Medito a lungo e l’occhio indagatore
pur già discerne qualche analogia;
anche questa bellezza che m’abbaglia
come una forma non terrestre, come
una specie selenica, fa parte
della grande catena armonïosa,
ha remoti parenti anche tra noi.
Le zampe lunghe speronate, l’ali
angolari dal margine ondulato,
l’addome snello pur nella sua mole,
un po’ ricurvo, il corsaletto breve,
la breve testa dalle antenne a clava,
fanno dell’Ornithoptera il cugino
barbaro del Papilio Podalirio.
Ma come travestito! L’ali sono
immense, di velluto nero, accese
da larghe zone d’una brace verde,
un verde inconciliabile col nostro
pallido sole settentrïonale,
l’addome è giallo, un giallo polinese
intollerando sotto i nostri climi.
 
La farfalla è brevissima, tutt’ala,
stupendamente barbara, inquietante
come un gioiello d’oro e di smeraldo
foggiato per la fronte tatüata
d’un principe, da un orafo papuaso
ch’abbia tolto a modello il Podalirio
nostrano, ingigantendolo, avvivandolo
di colori terribili, secondo
l’arte dell’arcipelago selvaggio.
 
E la farfalla, che non so pensare
sui nostri fiori, sotto il nostro cielo,
ben s’accorda coi mostri floreali:
gnomi panciuti dalle barbe pendule,
ampolle inusitate, coni lividi
evocanti la peste e il malefizio;
s’accorda coi paesi della favola
sopravissuti al tempo delle origini:
vulcani ardenti, moli di basalto,
foreste dal profilo mïocenico
dall’aria dolce senza mutamento,
dove la luce tremola e scintilla
tra il fasto delle felci arborescenti.
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