Guido Gozzano

Convito

I.
 
M’è dolce cosa nel tramonto, chino
sopra gli alari dalle braci roche,
m’è dolce cosa convitar le poche
donne che mi sorrisero in cammino.
 
II.
 
Trasumanate già, senza persone,
sorgono tutte... E quelle più lontane,
e le compagne di speranze buone
e le piccole, ancora, e le più vane:
mime crestaie fanti cortigiane
argute come in un decamerone...
 
Tra le faville e il crepitio dei ceppi
sorgono tutte, pallida falange...
Amore no! Amore no! Non seppi
il vero Amor per cui si ride e piange:
Amore non mi tanse e non mi tange;
invano m’offersi alle catene e ai ceppi.
 
O non amate che mi amaste, a Lui
invan proffersi il cuor che non s’appaga.
Amor non mi piagò di quella piaga
che mi parve dolcissima in altrui...
A quale gelo condannato fui?
Non varrà succo d’erbe o l’arte maga?
 
III.
 
—Un maleficio fu dalla tua culla,
né varrà l’arte maga, o sognatore!
Fino alla tomba il tuo gelido cuore
porterai con la tua sete fanciulla,
fanciullo triste che sapesti nulla,
ché ben sa nulla chi non sa l’Amore.
 
Una ti bacierà con la sua bocca,
sforzando il chiuso cuore che resiste;
e quell’una verrà, fratello triste,
forse l’uscio picchiò con la sua nocca,
forse alle spalle già ti sta, ti tocca;
già ti cinge di sue chiome non viste...
 
Si dilegua con occhi di sorella
indi ciascuna. E si riprende il cuore.
 
“Fratello triste, cui mentì l’Amore,
che non ti menta l’altra cosa bella!”
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