Giosuè Carducci

La sacra di Enrico V

Quando cadono le foglie, quando emigrano gli augelli
E fiorite a’ cimiteri son le pietre de gli avelli,
Monta in sella Enrico quinto il delfin da’ capei grigi,
E cavalca a grande onore per la sacra di Parigi.
Van con lui tutt’i fedeli, van gli abbati ed i baroni:
Quanta festa di colori, di cimieri e di pennoni!
Monta Enrico un caval bianco, presso ha il bianco suo stendardo
Che coprí morenti in campo San Luigi e il pro’ Baiardo.
Viva il re! Ma il ciel di Francia non conosce il sacro segno;
E la seta vergognosa si ristringe intorno al legno.
Piú che mai su gli aurei gigli bigio il cielo e freddo appare:
Con la pace de gli scheltri stanno gli alberi a guardare;
E gli augelli, senza canto, senza rombo, tristi e neri,
Guizzan come frecce stanche tra i pennoni ed i cimieri.
Viva il re! Ma i lieti canti ne le trombe e ne le gole
Arrochiscono, ed aggelano su le bocche le parole.
Arrochiscono; ed un rantolo faticoso d’agonia
Par che salga su da’ petti de l’allegra compagnia.
Cresce l’ombra de le nubi, si distende su la terra,
Ed un’umida tenebra quel corteggio avvolge e serra.
Dan di sprone i cavalieri, i cavalli springan salti:
Sotto l’ugne percotenti suon non rendono i basalti.
Manca l’aria; e, come attratti i cavalli e le persone
Ne la plumbea d’un sogno infinita regione,
Arrembando ed arrancando per gli spazi sordi e bigi
Marcian con le immote insegne per entrare a San Dionigi. Viva il re! Giú da i profondi sotterranei de la chiesa
Questa voce di saluto come un brontolo fu intesa:
E da l’ossa che in quei campi la repubblica disperse
Una nube di fumacchi si formava, e fuori emerse
Uno stuolo di fantasmi: donne, pargoli, vegliardi,
Conti, vescovi, marchesi, duchi, monache, bastardi;
Tutti principi del sangue: tronchi, mozzi, cincischiati,
In zendadi a fiordiligi stranamente avvoltolati.
Entro i teschi aguzzi e mondi che parean d’avorio fino
Luccicavano le occhiaie d’un sottil fuoco azzurrino.
Qual brandiva, salutando, un cappel bianco piumato,
Con un gracil moncherino che solo eragli avanzato;
Qual con una tibia sola disegnava un minuetto;
Qual con mezza una mascella digrignava un sorrisetto.
Tutt’a un tratto quel movente di maligni ossami stuolo
Scricchiolando e sgretolando si levò per l’aria a volo;
Ed intorno a l’orifiamma dispiegante i gigli gialli
Sgambettando e cianchettando intessea carole e balli,
Ed intorno a l’orifiamma sventolante i gigli d’oro
Sibilando e bofonchiando intonava questo coro.
—Ben ne venga il delfin grigio nel reame ove a’ Borboni
Né pur morte guarentisce fide o pie le sue magioni.
Passerem dal Ponte Nuovo. Venga a scior la sua promessa
Co 'l re grande che Parigi guadagnò per una messa,
E nel marmo anche par senta co’ mustacchi intirizziti
Caldo il colpo e freddo il ghiaccio del pugnal de’ gesuiti.
Marceremo a Nostra Donna. Mitriati e porporati
Tre arcivescovi i loro sonni per accoglierne han lasciati.
Su l’entrata sta solenne con l’asperges d’oro in pugno
Quel che tinse del suo sangue gli arsi lastrici di giugno.
In disparte ginocchioni veglia a dire le secrete
Quel che spento fu in sacrato per le mani d’un suo prete.
Benedice la corona del figliuol di San Luigi
Quel che giacque sotto il piombo del comune di Parigi.
Tristi cose. Al men tuo padre (son cortesi i giacobini)
Nel palchetto d’un teatro morì al suon de’ violini.
Coprì l’onda de l’orchestra la real confessione,
Salí Cristo in sacramento tra le maschere al veglione.
Farem gala a quel teatro noi borbonica tregenda:
Da quel palco (Iddio ti salvi!) move, o re, la tua leggenda.—
Cosí strilla sghignazzando via pe 'l grigio aere la scorta.
Ma cavalca il quinto Enrico dritto e fermo in vèr’ la porta.
Su la porta di Parigi co 'l bacile d’oro in mano
A l’omaggio de le chiavi sta parato un castellano.
Ei non guarda, non fa cenno di saluto, non procede:
Un’antica e fatal noia su le grosse membra siede.
Erto il capo e 'l guardo teso, ma l’orgoglio non vi raggia:
Una tenue per il collo striscia rossa gli viaggia.
Non pare ordine o collare che il re doni al suo fedele:
Non è quel di San Luigi, non è quel di San Michele.
Al passar d’Enrico, ei move a test’alta e regalmente;
Fende in mezzo il gran corteggio: ciascun vede e niun lo sente.
È a la staffa già d’Enrico; ma non piega ad atto umíle,
E tien dritto e fermo il collo mentre leva su il bacile.
—Ben ne venga mio nipote, l’ultim’uom de la famiglia!
Queste chiavi ch’io ti porgo fur catene a la Bastiglia.
Tali al Tempio io le temprava.—Con l’offerta fa l’inchino.
Ed il capo de l’offrente rotolava nel bacino;
Ed il capo di Luigi con l’immobile occhio estinto
Boccheggiante nel bacino riguardava Enrico quinto.
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