Giorgio Caproni

L’IDALGO da Il muro della terra

Deo optimomaximo

«Ma,» domandai (il vinaio
si forbiva la bocca
col pollice), «che ne è,» domandai,
«di quel vecchio (alto,
bell’uomo – un cappellaio,
credo) che tutte le sere
(lo chiamavano l’Idalgo)
“Salute a lei!” squillava
sollevando il bicchiere?»
 
L’altro, che ricontava
e ricontava sul banco
il contante, «ah Franco,
già...» ma io intanto
(io intanto) io dove ormai svagavo
con la mia mente – dove
finivano le parole
distratte, al grido
(«Salute a lei!» squillava)
già alzato dal rimorchiatore
allo scalo?... Udii,
di piombo, cadere le ore
dalla Torre. Pagai.
Uscii. E mai,
mai io (un cappellaio,
certo; bell’uomo) mai,
nel buio di quelle gialle
luci d’acqua, mai
io avevo avuto più freddo
nel mio gabbano – il solo
ricordo che di mio padre morto
(lo chiamavo l’Idalgo)
quel giorno, come ogni altro, ancora
mi coprisse le spalle.

(1965) (1964- 1975)

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