Noi che guardiamo
alle soluzioni dei problemi,
che persino abiuriamo alla ragione
e ci scordiamo della compagnia
come olocausti dimenticati dalla storia,
abbiamo anche noi
contribuito alla felicità dei molti.
Noi che pure la bellezza è un problema
una carezza un gesto spaventoso
un amore troppo raro per essere perduto
cosa abbiamo dato alla maturità dell’uomo?
Arrivati troppo tardi a tutte le feste
o avendole volontariamente trasgredite,
—il divertimento è per i veri dotati–
alla fine abbiamo avuto
la consolazione di un dio
che non poteva non esistere.
Chi cominciò per prima?
Fu la mesta vanità del genio
ad allontanare dalle cerchie dell’affetto,
o i presunti buoni ci scalciarono
in deserti dove sopravvivere era tutto?
Tornati dalle vette annunciammo
le ovvietà più sconcertanti,
straniti di non trovare alcun uditorio,
ci tacciarono di cattiveria e dispotismo,
di essere architetti di cattedrali dell’ego.
Non esiste parola che sappia descrivere
l’avvicinarsi del solitario
alla nudità imbarazzante della verità.
Se questa è la sua via
deve ritenersi un sopravvissuto,
la curiosità l’ha tirato fuori dalla fossa.
Il premio è vedere star meglio
la fraternità che l’aveva abbandonato,
godere di assoluti che rende imborghesiti,
imbastardire e rendere per tutti
quella che è stata una ricerca inevitabile.
Ci sono campi tanto vasti
da non poter appartenere ai più,
ce ne sono di così profondi
da essere pericoli mortali per gli eccelsi.
Avreste mai detto che dietro
la tragedia o l’ilarità di una musica,
a cospetto dell’armonia di una danza
avreste trovato tanta solitudine?
O sospettato che il tormento
di un singolo essere umano
sia la vostra scusa per divertirvi?
Il dolore ha saputo rendere festose
pure le religioni che erano più tetre.