Quando, bimba felice, a l’origliere
Desiosa di sonno, io m’affidava,
Curva su l’ago ne le lunghe sere
La madre mia vegliava.
Cantando ella vegliava—era una dolce
Cantilena gentil come di fata,
Donde il fioco ricordo ancor mi molce
Nell’anima turbata.
Nel silenzio vanìan le note lente
Come tremando d’intima dolcezza,
Vanìan per l’ampia oscurità dormente.
Lievi come carezza;
Ed io.... sognava.—Intorno a la mia culla
Aleggiava di miti angeli un coro,
D’amor parlanti a l’anima fanciulla,
Belli nei nimbi d’oro.
*
Or più non canti. Ma nel verno algente
Cruda miseria strazia, inesorata,
La tua stanca vecchiezza e l’impossente
Mia gioventù spezzata.
Or più non canti, o madre.—Ad una ad una
Svanîr le gioie—e pur, calma nei guai,
A l’insulto crudel de la fortuna
Non imprecasti mai;
Ma nel torvo del cor sdegno profondo,
Io lancio ai dardi de la sorte infida,
A l’onta nera, a la miseria, al mondo,
Una superba sfida.
.... Pur, quando a la mia fronte austera e smorta
Tacitamente, o madre mia, tu miri,
Come in amare ricordanze assorta,
Poi, timida, sospiri;
Di lontane memorie una dolcezza,
Di battiti segreti un’armonia,
Mi spinge a ricercar la tua carezza
Appassionata e pia.
Ne la penombra dell’ora quïeta,
Sotto il tuo caro sguardo, a te vicina,
Madre, vorrei scordar che son poeta,
E ritornar bambina.
Vorrei sentirle ancor le nenie lente
Che un dì, chinata su tranquilla cuna,
Calma ne l’ampia oscurità dormente,
Fidavi a l’aura bruna;
E ribaciando la tua fronte bianca,
Che tristezza d’amor tutta scolora,
Fra le tue braccia, come bimba stanca,
Addormentarmi ancora.