Sceglieva il mar perle, rubini ed oro,
Che quasi care spoglie e ricche prede
Di tante sue vittorie ancor possiede
E del suo proprio e suo maggior tesoro,
Per donarlo a costei che Giove in toro
Cangiar farebbe e per baciarle il piede;
E mentre bagna piú l’arena o cede,
Parea dir, mormorando, in suon canoro:—
O ninfa, o dea, non de l’oscuro fondo
Uscita ma del ciel, che mia fortuna
Placida rendi allor che tutta imbruna,
Te seguo in vece di mia vaga luna:
Deh, non fuggir se pur m’avanzo e inondo,
Ché lascio i doni e torno al mio profondo.—