Magro dottore, che con occhi intenti
Per cruda, intensa brama,
Le nude carni mie tagli e tormenti
Con fredda, acuta lama,
Odi. Sai tu chi fui?... Del tuo pugnale
Sfido il morso spietato;
Qui ne l’orrida stanza sepolcrale
Ti narro il mio passato.
Sui sassi de le vie crebbi. Non mai
Ebbi casa o parenti;
Scalza, discinta e senza nome errai
Dietro le nubi e i venti.
Seppi le notti insonni e l’inquïeto
Pensier della dimane,
L’inutil prece e il disperar segreto,
E i giorni senza pane.
Tutte conobbi l’improbe fatiche
E le miserie oscure,
Passai fra genti squallide e nemiche,
Fra lagrime e paure;
E finalmente un dì, sovra un giaciglio
Nitido d’ospedale,
Un negro augello dal ricurvo artiglio
Su me raccolse l’ale.
E son morta così, capisci, sola,
Come un cane perduto,
Così son morta senza udir parola
Di speme o di saluto!...
Come lucida e nera e come folta,
La mia chioma fluente!...
Senza un bacio d’amor verrà sepolta
Sotto la terra algente.
Come giovine e bianco il flessuoso
Mio corpo, e come snello!
Or lo disfiora il cupido, bramoso
Bacio del tuo coltello.
Suvvia, taglia, dilania, incidi e strazia,
Instancabile e muto.
Delle viscere mie godi, e ti sazia
Sul mio corpo venduto!...
Fruga, sinistramente sorridendo.
Che importa?... Io son letame.
Cerca nel ventre mio, cerca l’orrendo
Mistero della fame!...
Scendi col tuo pugnale insino all’ime
Viscere, e strappa il cuore.
Cercalo nel mio cor, cerca il sublime
Mistero del dolore!...
Tutta nuda così sotto il tuo sguardo,
Ancor soffro; lo sai?...
Colle immote pupille ancor ti guardo,
Nè tu mi scorderai:
Poi che sul labbro mio, quale conato
Folle di passïone,
Rauco gorgoglia un rantolo affannato
Di maledizïone.