Crudele stella, anzi crudele arbitrio
che ’l potere e ’l voler mi stringe e lega;
né si travaglia chiara stella in cielo
dal giorno [in qua?] che mie vela disciolse,
ond’io errando e vagabondo andai,
qual vano legno gira a tutti e’ venti.
Or son qui, lasso, e all’incesi venti
convien varar mie legno, e senza arbitrio
solcar l’alte onde ove mai sempre andai.
Così quagiù si prende, preme e lega
quel che lassù già ’ll’alber si disciolse,
ond’a me tolsi la dote del cielo.
Qui non mi regge e non mi spinge il cielo,
ma potenti e terrestri e duri venti,
ché sopra di me non so qual si disciolse
per [darli mano?] e tormi del mio arbitrio.
Così fuor di mie rete altri mi lega.
Mie colpa è, ch’ignorando a quello andai?
Maladetto [sie] ’l dì che ïo andai
col segno che correva su nel cielo!
Se non ch’i’ so che ’l giorno el cor non lega,
né sforza l’alma, ne’ contrari venti,
contra al nostro largito e sciolto arbitrio,
perché [...] e pruove ci disciolse.
Dunche, se mai dolor del cor disciolse
sospiri ardenti, o se orando andai
fra caldi venti a quel ch’è fuor d’arbitrio,
[...], pietoso de’ mie caldi venti,
vede, ode e sente e non m’è contra ’l cielo;
ché scior non si può chi se stesso lega.
Così l’atti suo perde chi si lega,
e salvo sé nessun ma’ si disciolse.
E come arbor va retto verso il cielo,
ti prego, Signor mio, se mai andai,
ritorni, come quel che non ha venti,
sotto el tüo grande el mïo arbitrio.
Colui che sciolse e lega ’l mio arbitrio,
ov’io andai agl’importuni venti,
fa’ mie vendetta, s’ tu mel desti, o cielo.