È qui che mi osserva questo foglio bianco.
È qui che sembra dirmi: rivelati, oscuro scrittore.
È qui che mi porge una libertà che l’esistenza non è mai stata in grado di concedere.
È qui. Perché pure io sono qui.
Ma io non sono più chi pensa di stare osservando.
Sono le parole che vuole da me. Io, però, le ho perdute. Molto tempo fa. Neanche ricordo più quando accadde.
Potrei spiegargli che, in fondo, è stata la vita a portarmele via. O che si sono perse mentre cercavo di non affogare in una malinconia senza fine.
Ma, forse, non sarebbe vero. Perché, in realtà, non mi sono mai appartenute.
Il silenzio, invece, sì. Il silenzio è mio. Mi appartiene come un ricordo antico, sepolto nei meandri dei primi respiri.
La cosa strana è che per anni l’ho rifuggito. Pensavo che, se gli avessi permesso di farmi suo, sarei diventato sordo ai rumori del mondo. Chiuso in una prigione. Mura fatte di rimpianti e sbarre gelide come la solitudine. Senza il conforto di una parola in grado di rompere quell’amaro sortilegio e farsi sentire. Davvero. Come se appartenesse anche a me.
Una profezia che si autoavvera. È così che la chiamano.
Ma per me è solo la realtà che mi circonda. E che pervade ogni mio pensiero. Divorando ogni parola e lasciando al suo posto un’eco priva di suono.
Caro foglio bianco. Siamo rimasti tu ed io.
Non ho più parole da offrirti. Ma questo già lo sai.
Ti lascio, allora, un frammento di questo silenzio. Tienilo vicino a te. Stringilo contro il petto. E liberalo solo quando sentirai che le parole staranno per sopraffarti. Promettimi solo di non costruirci muri troppo spessi per essere superati dalle voci di chi ti circonda. Perché potresti svegliarti un giorno e non riuscire a sentire più nulla. Finendo per chiederti: sono davvero esistito oppure è stata solo un’illusione?