La bionda bimba coi capelli al vento
correva per i viali del giardino
rossa nel volto, respirando a stento
per sfuggire al suo bruno fratellino.
“Mamma!”: era giunta all’albero di pesco,
calpestandone i fiori scossi dal vento:
poi rise, del suo riso argenteo e fresco,
al fratellino giunto in quel momento.
“Non mi prendesti!” disse e rise ancora
al fratellino un po’ mortificato;
e il sol, che traversava i rami allora,
baciò quel capo piccolo e dorato.
“Fulvio, perché la bamboletta parla?
Dici che sia una bambina vera?”
“Chissà! Bisognerebbe un po’ osservarla,
guardarle il viso che pare di cera.”
“Vai a prenderla: è dentro nella serra.”
Il fratellino corse, e lei rimase
coll’occhio fisso all’ombre, che per terra
formava il sol nell’ultima sua fase.
Tornò il fratello con la bamboletta:
“Guardala, Fulvio, a me par proprio viva,
se tiri quello spago parla, e, aspetta,
se la bacio e la lodo si ravviva.
Sì, sì! Se io le parlo mi comprende,
se la rimbrotto subito s’attrista;
quando la bacio, il bacio lei mi rende
e poi, del resto, ridere l’ho vista".
L’accarezzava intanto, la bimbetta,
sui bei capelli morbidi e ricciuti,
ma ad una mossa falsa la pupetta
cadde e s’infranse in cocci assai minuti.
Turbata in cuore da lacrime ardenti
la bimba curva cerca in mezzo ai cocci:
occhi di vetro, due piccoli denti
e le manine simili a due bocci.
Le lacrime le scendon, sul visino,
su la parrucca che trattiene in mano;
cerca di consolarla il fratellino:
“Ti do il mio cerchio, e anche quel buffo nano”.
Ma no: non è la bambola perduta
che fa piangere tanto la bambina:
vera, parlante, sempre l’ha creduta;
invece è sol di porcellana fina.
Piange la bimba perché fu delusa.
L’aveva tanto amata come viva
e che la ricambiasse s’era illusa,
povera bimba! e l’illusion finiva.
Il sole tramontava tutto fuoco,
da lungi si sentiva batter l’ore
ed in quel giorno destinato al gioco
pianse la bimba il primo suo dolore.