Guido Gozzano

Il giovenile errore

I colloqui
...reduce dall’Amore e dalla Morte
gli hanno mentito le due cose belle...
 
I.
 
Venticinqu’anni!... sono vecchio, sono
vecchio! Passò la giovinezza prima,
il dono mi lasciò dell’abbandono!
 
Un libro di passato, ov’io reprima
il mio singhiozzo e il pallido vestigio
riconosca di lei, tra rima e rima.
 
Venticinqu’anni! Medito il prodigio
biblico... guardo il sole che declina
già lentamente sul mio cielo grigio.
 
Venticinqu’anni... ed ecco la trentina
inquietante, torbida d’istinti
moribondi... ecco poi la quarantina
 
spaventosa, l’età cupa dei vinti,
poi la vecchiezza, l’orrida vecchiezza
dai denti finti e dai capelli tinti.
 
O non assai goduta giovinezza,
oggi ti vedo quale fosti, vedo
il tuo sorriso, amante che s’apprezza
 
solo nell’ora trista del congedo!
Venticinqu’anni!... Come più m’avanzo
all’altra meta, gioventù, m’avvedo
 
che fosti bella come un bel romanzo!
 
II.
 
Ma un bel romanzo che non fu vissuto
da me, ch’io vidi vivere da quello
che mi seguì, dal mio fratello muto.
 
Io piansi e risi per quel mio fratello
che pianse e rise, e fu come lo spetro
ideale di me, giovine e bello.
 
A ciascun passo mi rivolsi indietro,
curioso di lui, con occhi fissi
spiando il suo pensiero, or gaio or tetro.
 
Egli pensò le cose ch’io ridissi,
confortò la mia pena in sé romita,
e visse quella vita che non vissi.
 
Egli ama e vive la sua dolce vita;
non io che, solo nei miei sogni d’arte,
narrai la bella favola compita.
 
Non vissi. Muto sulle mute carte
ritrassi lui, meravigliando spesso.
Non vivo. Solo, gelido, in disparte,
sorrido e guardo vivere me stesso.
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