Poi che il romano Uccello lo stendardo
latino impose su l’itale terre
surgesti minaccioso baluardo.
Surgesti minaccioso e nelle guerre
che devastaron la campagna opima
gran nerbo di guerrieri entro rinserre.
Allora Duca non v’era non Reïna,
ma molti feditori e balestrieri
per il peggio dell’oste e la ruina.
Rozzo sorgevi allora, ma tra i neri
fianchi adunavi impavida coorte
d’uomini armati di coraggio e fieri.
Da i tuoi muri turriti da la forte
ossatura dei fianchi da i bastioni
le bertesche gittavano la morte
su i signori feudali, su i baroni
vogliosi di posar la man predace
su nuove terre e aver nuovi blasoni.
L’Evo Medio passò, ma non si tace
per anco il ferro: i Conti San Martino
nell’antico manier non hanno pace.
Il Torresan, secondo Attila, insino
questi colli per ordine di Francia
porta guerra con suo stuolo ferino.
Ma il Bassignana sua coorte slancia
e, mentre fra le braccia di Leonarda
meretrice quei dorme, ecco l’abbrancia.
Nel diruto castello fino a tarda
etade vive Donna Caterina
sposa esemplare in epoca beffarda.
E contro il Cardinale che Cristina
di Francia come sua suddita guarda
Don Filippo difende la Regina.
Per alcun tempo qui, quando la tarda
baronia declinò, ristette l’urna
che d’Arduino il cenere riguarda.
Ma invidïosa poi ladra notturna
viene coi bravi antica Marchesana,
l’urna si toglie e fugge taciturna.
O quante larve vivono d’arcana
vita in miei sogni! Parlano gli abeti
del grande parco, s’anima la piana
dei prati illustri. Appare fra i laureti
bella ospite del Re Carlo Felice
Maria Luisa da i grandi occhi inquieti
ed ecco il Re che un’era nuova indice,
ecco Maria Cristina sua consorte,
ecco risorta l’epoca felice.
Così mentre m’aggiro e su le morte
foglie premo col piede lungo il viale
mille imagini son da me risorte.
E tutto tace. Non il sepolcrale
silenzio rompe il suono delli squilli
non latrato di veltri. L’autunnale
luce è silente. Non canto di grilli
estivo e roco. Solo indefinito
fievole viene un suono di zampilli.
È il ferro di cavallo. Quivi ardito
sul delfino cavalca ancor Nettuno
di verdi-gialli licheni vestito.
Le sirene lapidee dal bruno
manto di musco accennano al ferrigno
Signor del luogo. E non risponde alcuno.
Però su l’acque in tempo eguale il Cigno
muove le palme con ritmo silente
e volge attorno l’occhio fiero e arcigno.
Sogna ancor forse Leda nelle intente
pupille nere lungo la divina
sponda d’Eurota? Ahimè, la Dea è assente.
Ma fra i mirti, fra i lauri la Regina
del luogo appare cavalcante e bionda
come bianca matrona bizantina.
Avanza il baio fino su la sponda
del bacino. Si specchia trepidante
la signora nell’acqua. E il sol la inonda.
E l’erme antiche memori di tante
Iddie pagane del bel mito assente
la rediviva Diana cavalcante
guatano immote, misteriosamente.