Giosuè Carducci

Sul Monte Mario

Solenni in vetta a Monte Mario stanno
nel luminoso cheto aere i cipressi,
e scorrer muto per i grigi campi
mirano il Tebro,
mirano al basso nel silenzio Roma
stendersi, e, in atto di pastor gigante
su grande armento vigile, davanti
sorger San Pietro.
Mescete in vetta al luminoso colle,
mescete, amici, il biondo vino, e il sole
vi si rifranga: sorridete, o belle:
diman morremo.
Lalage, intatto a l’odorato bosco
lascia l’alloro che si gloria eterno,
0 a te passando per la bruna chioma
splenda minore.
A me tra 'l verso che pensoso vola
venga l’allegra coppa ed il soave
fior de la rosa che fugace il verno
consola e muore.
Diman morremo, come ier moriro
quelli che amammo: via da le memorie,
via da gli affetti, tenui ombre lievi
dilegueremo.
Morremo; e sempre faticosa intorno
de l’almo sole volgerà la terra,
mille sprizzando ad ogni istante vite
come scintille;
vite in cui nuovi fremeranno amori,
vite che a pugne nuove fremeranno,
e a nuovi numi canteranno gl’inni
de l’avvenire.
E voi non nati, a le cui man’ la face
verrà che scorse da le nostre, e voi
disparirete, radiose schiere,
ne l’infinito.
Addio, tu madre del pensier mio breve,
terra, e de l’alma fuggitiva! quanta
d’intorno al sole aggirerai perenne
gloria e dolore!
fin che ristretta sotto l’equatore
dietro i richiami del calor fuggente
l’estenuata prole abbia una sola
femina, un uomo,
che ritti in mezzo a’ ruderi de’ monti,
tra i morti boschi, lividi, con gli occhi
vitrei te veggan su l’immane ghiaccia,
sole, calare.
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