#ScrittoriItaliani
Anima mia leggera, va’ a Livorno, ti prego. E con la tua candela timida, di nottetempo fa’ un giro; e, se n’hai il tempo,
Non è arrivato nessuno. Tutti sono scesi. Uno (l’ultimo) s’è soffermato un attimo, il volto nel lampo
Faceva freddo. Il vento mi tagliava le dita. Ero senza fiato. Non ero stato mai più contento.
Buttate pure via ogni opera in versi o in prosa. Nessuno è mai riuscito a dire cos’è, nella sua essenza, una rosa…
Aveva posato la sua lanterna sul prato. Aveva allargato le braccia. Tutto quel sole. Tutto
Se non dovessi tornare, sappiate che non sono mai partito. Il mio viaggiare È stato tutto un restare
Smettetela di tormentarvi. Se volete incontrarmi, cercatemi dove non mi trovo. Non so indicarvi altro luogo
Ricordo una chiesa antica, romita, nell’ora in cui l’aria s’arancia e si scheggia ogni voce sotto l’arcata del cielo.
Non uccidete il mare, la libellula, il vento. Non soffocate il lamento (il canto!) del lamantino. Il galagone, il pino:
Un’idea mi frulla, scema come una rosa. Dopo di noi non c’è nulla. Nemmeno il nulla, che già sarebbe qualcosa.
Andavo. Andavo. Cercavo dove poter sostare. Ero ormai sul discrimine. Dove finisce l’erba e comincia il mare.
Confine diceva il cartello cercai la dogana, non c’era non vidi dietro il cancello ombra di terra straniera.
Sono partiti tutti. Hanno spento la luce, chiuso la porta, e tutti (tutti) se ne sono andati uno dopo l’altro.
Le parole. Già. Dissolvono l’oggetto. Come la nebbia gli alberi, il fiume: il traghetto.
Genova mia città intera. Geranio. Polveriera. Genova di ferro e aria, mia lavagna, arenaria. Genova città pulita.