III
...
Non la speranza ti dico, la cagna
affamata che non si sazia mai
e vagabonda ai confini. Tu sai
quanta con lei si celebra vergogna,
quanta con lei viltà.
Una volta sperare era sperare
aria d’amore o d’ozio o di campagna
o d’infanzia risorta o un pianto o un mare
dove spunti una vela, una montagna
bruna per la distanza, una città
dove perdersi in pace. Piano, un passo
dopo l’altro, è mutata, spenti i simboli
ridicoli, quei miti blandi limbi.
E la speranza ora è convulso passo
di bestia, entro di noi, che viene e va.
...
Sogni fra i corpi e credi al loro sangue
buono a bere, al calore
vile e dolce. Cammini giudicando
non giudicando, intriso
d’altri, per umiliarti e, in fondo, vincere.
Non è la colpa che insapora questo
vagare per le tenebre dolcissime
di parchi, di balconi, d’archivolti,
le notti aride; non è più che un ansito
per ricordare. Sei solo ed è quello
che vuoi...
Anima bella che si frusta! Il fuoco
d’essere abbietto e leccare il calcagno,
lo spasimo in protesi nervi, il roco
grazie e il devoto alito nel lagno
ultimo, tu lo sai bene, non è
se non rovescia furia d’infinito
potere che a sé solo in sogno crede,
quando chi dorme in suo ansito stritola
i denti di suo padre sotto il piede
e d’ombre della carne si fa re.
V
Ma chi spera di leggere domani
una consolazione nelle righe
di piombo dei giornali; e chi le scrive
nell’afa delle redazioni, con le mani
di assassini devoti; e chi le nemiche
parole spia per farne scusa a sé,
sono compagni nostri! Che non credono
a nulla più se non alle parole
che hanno insegnate agli operai, parole
che ritornano a loro come fede
stravolta, o ira, o grido di chi vuole
quel che non ha ma più quel che non sa.
VII
Non ti dico speranza. Ma è speranza.
Questa parola che ti porgo è niente,
la sperde il giorno e me con essa. E niente
ci consola di essere sostanza
delle cose sperate. In queste lente
sere di fumo e calce la città
che mi porta s’intorbida nei viali
sui battistrada di autotreni, muore
fra ponti di bitume, fari, scorie.
Qui sarò stato io vivo; e ai generali
destini che mi struggono, l’errore
che fu mio, e il mio vero, resterà.