Giaccio nell’inerzia che Dio ignora
al mezzodì, fermo al cencio di sole
scagliato sulla marea irta e increspata
che balza sul picco, punge ed irrora
la rena e la ghiaia di salsedine.
Tu sai di questa pioggia salata
il fragore, il brivido, l’acredine
tagliente.
Fosti anche tu nivea spuma
battente presso questi lidi spogli,
figlio ingenuo d’un barbaglio di luna
giunto per buie rughe alla pietraia
grigia, alla battigia aeda di gorgogli.
Tuttora vivi e sei una stilla aspera
che sferza l’aria e diffonde nel sangue,
ma abiti l’altrove, l’ombra vespera.
Sei omaggio del sonno, veglia sgombra
che langue.