Che ho da chiederti, o vita? Quale dono o cambiamento? Sull’albizia il fiore attendo e null’altro. Allora perché questa preghiera
Colsi, chino, la bellezza, tutta chiusa in una sfera, dispersa nella bufera aprilina d’una brezza.
Parigi, il tonfo d’un sasso, nella tua Senna caduto, pare il cuore. Parigi, terra umana d’umani addii,
Osserva la terra lacerata, trafitta dai papaveri vermiglio e dall’erba rigogliosa, dalla formica operosa e da tutta la minuzia viva.
Ombra notturna, lugubre forma, luce che sei, sospesa, accogli gli occhi miei, dai sogni ormai perduti tormentati, in questa veglia buia!
Oggi vado, ramingo tra i volti, evaso dalla mia prigione d’oro, ed anch’io non so più chi sono– forse un pio che resuscita i morti… forse un reo, mendicante perdono–
Lambisci pure, o luce d’oro, i miei mattini d’ombra. Campisci il cielo del tuo inchiostro chiaro… Quando sparuta alla riviera ti sporgi, s’incorona il mare
Fu un istante dal tuo poggiolo. Fu un raggio, emerso da un cumulo di nuvole eburnee. Tu, elevata, a leggere sedevi, a me donata dal Caos benevolo d’un destino.
Tardiva di un’ora un’ora t’ho attesa, sorella mia buona che lasciai bambina. In quell’ora, sospesa,
Mi trattenga la vita a un richiamo di fronde stormenti e languidi gorgogli in scogli emersi, brillii di salsedine e profumi amari trasportati in un brivido,
Mi parrà di morire nell’ora di un bacio quando calde salive fonderanno le anime. Quali enigmi di ghiandole,
Dannati quei poeti che non dissero con pia voce di follia, ai calmi delittuosi timpani di fulgenti divise decorate, a mani avide brandenti saluti
Canta qui un murmure: madide punte cadute per sorte ai reduci arbusti… e il crocchio della suola sugli ad… fuscelli in rovina, vene consunte raccolte sui tronchi rigidi e spog…
Vorrei trovarmi ancora in interminabili respiri, nei miei passi distanti di creatura carnale, essere in amore. Sarei leggero
Parigi, d’antichi Lutezia, triste suono della calma Senna al chiaroscuro dei boulevards, alcova di raminghi e borghesi, non sei che terra di uomini.