Ada Negri

La pietà

Non domandarmi perchè son venuta.
Lascia ch’io sieda qui, presso il tuo letto.
Sei stanca, è vero?... Ti fa male il petto.
Oh, non celarti fra le coltri, muta!...
 
Dio mi donò le mie piccole mani
perchè soavi fossero ai dolenti:
perchè con gesti di blandizia, lenti,
molcesser l’ansie degli spasmi vani.
 
Io son Fata Dolcezza.—Se parlare
m’ascolti un poco, in te tutto si queta:
io la posseggo, la malia secreta
che può tutte le pene consolare.
 
Io non so donde venga alla mia voce
tanta soavità che il cor ne trema.
O sconosciuta, in questa ora suprema
abbandònati a me con la tua croce!
 
Corpo disfatto dalle febbri, cuore
convulso, aridi labbri vïolastri,
sudate chiome, tese al par di nastri
neri intorno al terribile pallore;
 
vita che lotti nel disfacimento,
io ti penetro tutta, io ti fo mia:
chiudi gli occhi, raccogli in una pia
rete di sogni il tuo lungo tormento!...
 
—Non ricordare.—Hai singhiozzato, nelle
notti eterne, anche tu?...—Non ricordare.
Il passato è lontano, è morto, è un mare
di nebbia ove si spengono le stelle
 
e tutto affonda: la tua pena oscura
di carne schiava, e le dolcezze troppo
brevi, e il giogo dei sensi avidi, ah, troppo
per te pesante—e l’ultima tortura,
 
sai, quella che ti assilla insino al fondo,
l’inconfessato orror della vecchiezza
sola, senza una casa, una carezza,
un bambino, un perchè d’essere al mondo....
 
.... Or tu sei pura come il fil di luna
che di silenzio il tuo lettuccio fascia:
tu sbocci dalla vita che ti lascia
siccome fronda dalla scorza bruna:
 
i tuoi occhi socchiusi hanno tra i cigli
un sogno d’alba che per vie di cielo
salga, spargendo rose senza stelo
frammiste a nivei calici di gigli:
 
e in pace arridi alla tua morte bella,
tu fra le braccia mie, tu consolata
dalla mia passïone, o Innominata
che nel nome di Dio mi sei sorella.

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