Salivano verso il cielo
legnosi vampi,
storti echi di portali,
sgocciavano pinti teli dai balconi,
a spirale si placavano le vecchie fontane
nel vociare di civette.
Non ricordo che un pallido disegno
d’occhi nel cielo capovolto che scolora,
di passi incerti su zerbini
di conchiglie rosse;
riposa nel fogliame
la pagina divenuta bianca,
nella fessura in cui ricadde
la coda dell’accento
—rignata forbice di cavallette—
enumeri le bolle di sapone
come chicchi d’uva nera ammucchiati
sotto alberi di lana.
M’inventai una nuvola
sul rovescio blu della medaglia,
sulle ginocchia raggelate
dal crampo inesorabile del tempo
dove si snoda – condanna del passato –
il sasso nello stagno.
Thea Matera