Vo navigando un mar d’aspri martirî
In fragil barca, perigliosa e grave.
Col vento impetüoso de’ desiri.
E voi, che avete del mio côr la chiave,
Me ritenete al fin come vi piace,
Qual áncora talor smarrita nave:
Voi m’acquetate, e ritenete in pace
Le torbide onde dell’avverso mare,
Gonfiato da pensier dubio e fallace:
Voi sête il porto del mio navicare,
Voi calamita sête e la mia stella,
Qual sola seguo e che sempre m’appare.
Voi sola nel furor d’ogni procella
Chiamo al mio scampo, e risôna ’l bel nome
Non men drento del cor, che ’n la favella.
Chiàmavi l’alma, e non saprei dir come
Siano scolpite in me tutt’oramai
Vostri occhi, vostri modi e vostre chiome.
Da questo vien ancor ch’io mi privai,
Lasso! del côr e di mia libertate,
Dandomi ’n preda agli amorosi guai.
Ma fui costretto da sì gran beltate,
Che me stesso ad Amor me diedi ’n dono,
E diedi a voi di me la potestate.
Ma tutto è vostro quel che ad altrui dono,
Però ch’alfln tutto vi rende Amore,
Nè posso esser d’altrui, se vostro i’ sono,
Tenendo voi la rôcca del mio côre.