Ludovico Ariosto

Canzone V

Quando ’l sol parte e l’ombra il mondo côpre,
E gli uomini e le fere,
Nell’alte selve e fra le chiuse mura,
Le loro asprezze più crudeli e fere
Scordan, vinti dal sonno, e le loro opre;
Quando la notte è più quêta e sicura;
Allor l’accorta e bella
Mia vaga pastorella
Alla gelosa sua madre si fura,
E dietro agli orti di Mosco soletta
A piè d’un lauro córcasi, ed aspetta.
    Ed io, che tanto a me slesso son caro,
Quanto a lei son vicino,
O la rimiro o ’n grembo le soggiorno,
Non prima dall’ovil torce il cammino
L’iniqua mia matrigna e ’l padre avaro,
Che annoveran due volte il gregge il giorno,
Questa i capretti, e quelli
I mansüeti agnelli,
Quando di mandra io i’ levo e quando io i’ torno,
Che giunto sono a lei veloce e lieve,
Ov’ella lieta in grembo mi riceve.
    Quivi al collo, d’ogni altra cura sciolto,
L’un braccio allor le cingo,
Tal che la man le scherza in seno ascosa;
Coll’altra il suo bel fianco palpo e stringo,
E lei, ch’alzando dolcemente il volto,
Su la mia destra spalla il capo posa,
E le braccia mi chiude
Sovra ’l cubito ignude,
Bacio negli occhi e ’n la fronte amorosa;
E, con parole poi ch’Amor m’inspira,
Così le dico; ella m’ascolta e mira:
   —Ginevra mia,3 dolce mio ben, che sola,
Ov’io sia, in poggio o ’n riva,
Mi stai nel côre; oggi ha la quarta estate,
Poi che, ballando al crotalo e alla piva,
Vincesti il speglio alle nozze d’Iola,
Di che l’Alba ne pianse più fïate.
Tu fanciulletta allora
Eri, ed io tal ch’ancora
Non sapea quasi gire alla cittate.
Possa io morir or qui, se tu non sei
Cara vie più che l’alma agli occhi miei.—
    Così dico io. Ella allor, tutta lieta,
Risponde sospirando:
—Deh non t’incresca amar, Selvaggio mio;
Chè, poi ch’in cetra e ’n sampogna sonando,
Vincesti il capro al natal di Dameta,
Onde Montan di duol quasi morio,
Tosto n’andrà ’l quarto anno,
S’al contar non m’inganno
(Pensa qual eri tu, qual era anch’io),
Tanto caro mi siei, che men gradita
M’è di te l’alma e la mia propria vita.—
    Amor, poichè si tace la mia donna,
Quivi, senza arco e strali,
Sceso per confermare il dolce affetto,
Le vola intorno e salta aprendo l’ali.
Vago or riluce in la candida gonna,
Or tra’ bei crini, or sovra ’l casto petto,
D’un diletto gentile,
Cui presso ogni altro è vile,
N’empie scherzando ignudo e pargoletto:
Indi tacitamente meco ascolta
Lei, ch’ha la lingua in tai note già sciolta:
   —Tirsi ed Elpin, pastori audaci e forti,
E d’età giovanetti,
Ambi leggiadri e belli senza menda;
Tirsi d’armenti, Elpin d’agni e capretti
Pastor, co’ capei biondi ambi e ritorti
Ed ambi pronti a cantar a vicenda;
Sprezzano ogni fatica
Per farmi loro amica:
Ma nullo fia che del suo amor m’incenda;
Ch’io, Selvaggio, per te curería poco
Non Tirsi o Elpino, ma Narciso e Croco.—
   —E me, rispond’io, Nisa ancor ritrova
Ed Alba, e l’una e l’altra
Mi stringe e prega che di sè mi caglia;
Giovanette ambe, ognuna bella e scaltra,
E non mai stanca di ballare a prova.
Nisa, sanguigna di colore, agguaglia
Le rose e i fior vermigli;
Alba, i ligustri e gigli.
Ma altre arme non fian9 mai con che m’assaglia
Amor, n’altro legame ond’ei mi stringa,
Se ben tornasse ancor Dafne e Siringa.—
    Di nuovo Amor scherzando, come pria,
D’alto diletto immenso
N’empie, e conferma il dolce affetto ardente.
Così le notti mie liete dispenso;
E pria ch’io faccia dalla donna mia
Partita, veggio al balcon d’orïente
Dall’antico suo amante
L’Aurora vigilante;
E gli augelletti odo soavemente
Lei salutar, ch’al mondo riconduce
Nel suo bel grembo la novella luce.
    Canzon, crescendo con questo ginepro,
Mostrerai che non ebbe unqua pastore
Di me più lieto e più felice, Amore.
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