Io vengo da un altro canneto,
è un altro, di un altro tipo.
Adesso ho tutto questo spazio,
queste altitudini, queste possibilità,
ma quando mi allungo
non sento il canto
dell’allodola nell’alba
e se sia meglio o peggio
non so dirlo. Non è il mio.
Come loro anche io sono una canna,
ma trapiantata da una terra d’acqua
e sabbia. Qui sono mezza falciata,
un po’ ingiallita, sopravvissuta.
Il canneto, che faceva
da spalliera al treno,
o nascondiglio al riccio
qui, per la palude artificiale,
è educato come siepe.
Da qui si vede il cosmo
e queste canne ne sanno,
ma non hanno quei pennacchi
in attesa del vento
che porta profumi di pero,
di pesco e di albicocco.
Prima andavo su nel cielo,
senza mano d’uomo
e del piscio dei gatti,
randagi, ero il territorio.
“E mi bastava”.